Inferno – Dan Brown

Inferno - Dan Brown

 

Voto: 7,5

Titolo: Inferno

Autore: Dan Brown

Genere: Thriller

Editore: Mondadori, 2013

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

Il profilo inconfondibile di Dante che ci guarda dalla copertina è il motore mobile di un thriller che di “infernale” ha molto. Il ritmo, prima di tutto, e poi il simbolismo acceso, e infine la complessità dei personaggi che conducono a un esito raro per i romanzi d’azione: instillare nel lettore il fascino del male, addirittura la sua salvifica necessità.

Non è affatto sorprendente che lo studioso di simbologia Robert Langdon sia un esperto di Dante, anzi. È naturale che al poeta fiorentino e alla visionarietà con cui tradusse in forme solenni e oscure la temperie della sua epoca tormentata il professore americano abbia dedicato studi e corsi universitari ad Harvard. È quindi normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori.

Ma ora è tutto diverso, non c’è niente di normale, nulla che possa rievocare una dolce abitudine. Questa volta è un incubo e la sua conoscenza della città fin nei labirinti delle stradine, dei corridoi dei palazzi, dei passaggi segreti può aiutarlo a salvarsi la vita.
Il Robert Langdon che si sveglia in una stanza d’ospedale, stordito, sedato, ferito alla testa, gli abiti insanguinati su una sedia, ricorda infatti a stento il proprio nome, non capisce come sia arrivato a Firenze, chi abbia tentato di
ucciderlo e perché i suoi inseguitori non sembrino affatto intenzionati a mollare il colpo. Barcollante, la mente invasa da apparizioni mostruose che ricordano la Morte Nera che flagellò l’Europa medievale e simboli criptici connessi alla prima cantica del Divino poema, le labbra capaci di articolare, nel delirio dell’anestetico, soltanto un incongruo “very sorry”, il professore deve scappare. E, aiutato solo dalla giovane dottoressa Sienna Brooks, soccorrevole, ma misteriosa come troppe persone e cose intorno a lui, deve scappare da tutti.

Comincia una caccia all’uomo in cui schieramenti avversi si potrebbero ritrovare dalla stessa parte, in cui niente è quel che sembra: un’organizzazione chiamata Consortium è ambigua tanto quanto un movimento detto Transumanesimo e uno scienziato come Bertrand Zobrist può elaborare teorie che oscillano tra utopia e aberrazione.

Alla fine di un’avventura che raggiunge momenti di insostenibile tensione, Dan Brown ci rivela come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possono essere questione di punti di vista e anche da una laguna a cielo coperto si possa uscire a riveder le stelle.

 

Ecco il nuovo thriller di Dan Brown, pronto per il grande schermo. Cominciamo con il dire che l’autore del Codice da Vinci colleziona un successo dietro l’altro, e Inferno non farà eccezione. C’è da scommettere sulla trasposizione cinematografica del romanzo e sui sicuri incassi al botteghino. Dopo Leonardo da Vinci, Dante Alighieri: l’autore sembra aver capito che per attirare i lettori con romanzi a sfondo storico-culturale, non c’è niente di meglio che attingere a piene mani dal pur tanto vituperato Bel Paese. Di questo, senza alcuna speculazione e polemica, dobbiamo essere grati a Dan Brown: aver reso ancora più popolari, grazie alla diffusione capillare dei suoi libri, le nostre città d’arte e le opere dei nostri immortali artisti.

Essendo ambientato principalmente a Firenze e a Venezia, è normale che il lettore italico medio lo abbia passato al setaccio con occhio critico e severo, com’è giusto che sia, in cerca di errori e strafalcioni. Da questo punto di vista, a torto o a ragione, il romanzo è stato più volte stroncato: descrizioni da guida turistica, conoscenze eno-gastronomiche approssimative, ricostruzioni storiche inesatte e/o incomplete. Da veneziano, posso dire che è molto difficile che l’odore delle “seppie al nero”, citando testualmente, camminando per calli e campielli possa sovrastare l’odore di salmastro, a meno di non stazionare davanti a un ristorante che le abbia nel menu. Ma è un dettaglio insignificante. Verrebbe da chiedersi poi, a parziale discolpa dell’autore, cosa potrebbe pensare un Newyorkese della descrizione della sua città, da parte di un autore straniero che ne tratteggia tratti, luoghi, usi e costumi avendola magari visitata solo un paio di volte.

A mio modo di vedere, non sono però questi i territori su cui si deve giudicare il romanzo di Dan Brown. E l’autore non può nemmeno essere messo in croce per gli ammiccamenti alla teorie Malthusiane sulla sovrappopolazione, anche se, sembra, siano già state ampiamente confutate. Sulle suddette teorie, e sul transumanesimo, si fonda il messaggio finale del romanzo, e il finale aperto vorrebbe invitare il lettore a interrogarsi sul futuro dell’umanità, il cui sviluppo (sembra) essere limitato dalla nostra stessa prolificità. Che si sia d’accordo oppure no, sta di fatto che l’argomento ha un certo fascino. Fascino che, c’è da riconoscere, permea tutta la trama.

Il protagonista è nuovamente Robert Langdon, il professore si simbologia di Harvard, già protagonista de Il codice da Vinci. Inferno ruota intorno alla Divina Commedia di Dante Alighieri e la peste nera, che ha flagellato l’Europa nel Medioevo. Un uomo si suicida gettandosi dal campanile della Badia, a Firenze, lanciando un sinistro ultimo messaggio in cui chiede al mondo di ricordarlo come un salvatore e non come un mostro. Pochi giorni dopo, Robert Langdon si sveglia in un ospedale di Firenze, con una ferita da arma da fuoco alla testa e un’amnesia che ha cancellato i ricordi degli ultimi due giorni. Ha delle strane e ricorrenti visioni, non sa perché si trova lì e qualcuno lo vuole morto. Riesce a fuggire grazie alla dottoressa Sienna Brooks, donna affascinante e misteriosa che sembra nascondere qualcosa. Langdon scopre di avere, nel risvolto della fodera della giacca, una strana capsula con il simbolo di rischio biologico stampato sopra. Al suo interno, un futuristico proiettore con un’immagine modificata de La mappa dell’inferno di Botticelli. Langdon e Sienna devono scappare, perché braccati dal governo USA, dalla polizia italiana e da una misteriosa setta, il Consortium. Tutto sembra far pensare che il mondo sia minacciato da una nuova pandemia, un virus sviluppato da uno scienziato, Bertrand Zobrist, che ha perso la ragione, che vuole emulare Dante, disseminando qua e là indizi che portano sempre a qualcosa che ha a che fare con la Divina Commedia. I due protagonisti passano attraverso le meraviglie di Firenze alla ricerca di indizi, guidata dallo strano messagio “CERCATROVA”, ricorrente anche nelle visioni di Langdon. Da Firenze, gli indizi portano poi a Venezia e al doge Enrico Dandolo, e infine a Istanbul, dove ci sarà il (triste?) epilogo della vicenda. Sullo sfondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che sembra seguire da vicino i protagonisti, chiaramente preoccupata per le sorti dell’umanità.

Inferno è un romanzo avvincente, che tiene il lettore incollato alle pagine, ma siamo lontani dalla tensione narrativa de Il Codice da Vinci. E per più di un motivo. Prima di tutto, le digressioni storico-artistiche: non entro nel merito della loro veridicità, ma è innegabile che rompano il ritmo della narrazione. In alcuni punti poi sono più che improbabili: come può un fuggiasco fermarsi a pensare alla storia di un quadro o di un ponte nel bel mezzo di un inseguimento? E poi l’espediente narrativo: la Divina Commedia. Diversamente dal Codice da Vinci, dove la Storia è parte integrante dell’intreccio, in Inferno è un puro espediente al servizio della trama. Di per sè non sarebbe un male, ma il continuo riferimento è, nello scorrere della vicenda, sempre più slegato dall’intreccio degli eventi e alla lunga stanca. La trama è avvincente e l’argomento, il rischio di una pandemia a livello mondiale e la consueta lotta contro il tempo, tengono alto il livello della tensione, ma alcuni enigmi sembrano molto semplici e si protraggono per troppe pagine. “CERCATROVA” come anagramma di “CATROVACER”, ad esempio, non meritava certo tutta quella spremitura di meningi (a meno che la parola non comparisse in italiano anche nella versione inglese…) da parte dei protagonisti.

La struttura è quella consolidata dell’autore: risolvere gli enigmi spetta sempre all’uomo, Robert Langdon, mentre la donna, Sienna Brooks è sempre subordinata. Nonostante in questo caso la coprotagonista possa vantare un QI ben superiore alla media, non riesce a incidere nelle decisioni importanti, cadendo in tutti i tranelli che i cattivi preparano per loro. Devo dire che questo maschilismo strutturale mi ha un po’ irritato, anche se nemmeno Langdon ne esce poi benissimo, dimostrando poca furbizia in più di un’occasione. Ma almeno aveva la scusante della perdita di memoria che, si scoprirà poi, ha influito anche nelle sue capacità intellettive.

Lo stile è quello consolidato di molti thriller made in USA: taglio cinematografico, azione e suspence, dialoghi alla continua ricerca della battuta a effetto, stile piuttosto lineare e privo di “picchi” e, soprattutto, scarsa caratterizzazione dei personaggi. È il terzo libro che leggo con protagonista Robert Langdon, e ancora non so quasi niente di lui, della sua vita e dei suoi gusti. I personaggi sono poco più che burattini al servizio della trama.

In sintesi, Inferno è un bel thriller. L’argomento è accattivante e ben sviluppato nell’intreccio narrativo, gli indizi vengono dosati con maestria e il livello di tensione raggiunge l’apice in più punti. Dan Brown fa ancora centro e le continue critiche non fanno altro che confermare che le sue storie, volenti o nolenti, sono sulla bocca di tutti.

 

 

La collezionista di profumi proibiti – Kathleen Tessaro

Recensione di Claudia Andreato

La collezionista di profumi proibiti - Kathleen Tessaro

 

 

Titolo: La collezionista di profumi proibiti

Autore: Kathleen Tessaro

Editore: Newton Compton, 2013

 

 

TRAMA ORIGINALE

Londra, anni ’50. Grace Munroe è una ragazza della buona società londinese troppo curiosa e irrequieta per adattarsi al ruolo di moglie docile e accondiscendente. Sposata con un uomo ambizioso che aspira alla carriera politica, trascorre le sue giornate tra serate di gala e pranzi di rappresentanza.
Fino al giorno in cui riceve una lettera da uno studio legale parigino, che la informa di essere stata nominata beneficiaria di un’inaspettata eredità e che dovrà presentarsi personalmente a Parigi a prenderne possesso.
Grace non esita a partire e, arrivata nella romantica ville lumière, viene a sapere che la sua benefattrice era una certa Eva d’Orsey, una ricca signora francese che, però, lei non ha mai conosciuto… Solo quando si imbatterà in un negozietto di profumi sulla Rive Gauche, sopravvissuto alla guerra ma chiuso da tempo, Grace scoprirà la misteriosa storia di Madame d’Orsey, una donna straordinaria che aveva letteralmente stregato l’alta società di New York e Parigi negli anni ’20. Un viaggio seducente e irresistibile nel passato, dalla New York del jazz ai casinò di Monte Carlo, tra tradimenti, amori e vendette, sulla romantica scia di un intenso, inebriante profumo.

Nello scegliere un libro, non mi fermo mai alla quarta di copertina, ai commenti – talvolta anche prestigiosi – o alle recensioni che leggo da quotidiani, riviste di settore o che sento in giro. No! Non mi basta. Cerco qualcosa in più.

Il titolo ad esempio. Il titolo deve saper evocare, rimandare ad una dimensione poetica, ispirare. Ecco, il titolo mi deve ispirare. E poi l’immagine di copertina: il soggetto, l’accostamento cromatico, lo sfondo. Alcune copertine sono opere d’arte, che colpiscono la sfera ‘irrazionale’ dell’osservatore.

Non importa se con questi criteri di scelta, così poco ‘professionali’ e così tanto infantili – forse superficiali -, mi avventuro nella lettura di un libro diverso da come l’immaginavo: è un rischio che mi piace correre.

Mi passa tra le mani La collezionista di profumi proibiti. In copertina una donna di spalle veste un’ampia gonna con balze sottostanti, rifinite di merletti stile Ottocento, forse. No, la copertina non fa per me, ma il titolo… Il titolo sì. C’è la parola profumo. Adoro il profumo, indossarlo, sentirmi accarezzata dalla sua fragranza. È qualcosa che si fonde con me, che talvolta esalta la mia personalità, talvolta la nasconde. Mi piace annusare il profumo degli altri, osservare come lo indossano, fermarmi a sentire il profumo dei luoghi, dell’aria in una sera d’estate o della notte. Insomma, questo è il libro per me!

Non avendo neanche letto la quarta di copertina,  mi avvicino alle prime pagine senza avere idea della storia. La struttura narrativa si presenta duplice: da un lato un racconto ambientato a Parigi con protagonista madame d’Orsey; dall’altro Grace Munroe, moglie di un arrivista ed egoista uomo politico, si accinge a partecipare con un’amica ad uno dei memorabili party della Londra anni ’50.

Se dalle prime pagine il libro mi sembra il classico romanzo un po’ frivolo di cui non ho voglia in questo momento – me ne è già bastato uno di recente -, tanto che sono pronta ad abbandonarlo, leggendo finalmente la quarta di copertina mi rendo conto che succederà qualcosa di inaspettato a sconvolgere la vita di Grace. Bastava solo un po’ di pazienza nella lettura ed ecco che, proprio quando Grace si sta preparando per la festa, riceve una lettera da un avvocato parigino, che la informa di essere l’unica beneficiaria dell’eredità di Eva d’Orsey. Per Grace si tratta di una donna sconosciuta; per il lettore invece è la donna che osservava Parigi in una mattina d’inverno dalla finestra del suo appartamento: una donna inquieta, con un grande dolore, impegnata ad organizzare qualcosa, tra cui un viaggio; una donna per la quale l’unico anestetico era l’alcool.

Angosciata da una triste scoperta relativa alla vita del marito, Grace decide di abbandonare Londra e l’ottuso perbenismo dell’alta borghesia cui appartiene dal momento del matrimonio, per raggiungere lo studio legale di Parigi e gettar luce così sull’eredità ricevuta dalla sconosciuta Eva d’Orsey.

È a questo punto che il lettore viene proiettato nella New York degli anni ’20 e ritrova una ragazzina orfana, Eva d’Orsey, che si appresta a lavorare in uno degli hotel più lussuosi della città. Qui Eva incontra persone provenienti da tutto il mondo, tra cui un’affascinante donna parigina che col suo assistente crea profumi.

Il tempo del romanzo si sdoppia quindi, alternando le vicende della giovane Eva d’Orsey a quelle di Grace, che tenta in tutti i modi di scoprire la verità, proiettandosi nel mondo del profumo, oltre che nella vita e negli spazi di madame d’Orsey.

Credo che uno dei passi del romanzo che, più di qualunque altro, illustra il senso di un profumo, sia dato dalle parole di un profumiere parigino cui Grace si rivolge per saperne di più su una formula misteriosa ritrovata in un negozio ormai abbandonato, in cui aveva lavorato tempo prima anche madame d’Orsey:

Vede, niente è più immediato, più completo del senso dell’olfatto. In un attimo, ha il potere di trasportarci. Il nostro olfatto si collega non al ricordo in sé, ma all’emozione che abbiamo provato in quel momento. Ricreare un ricordo olfattivo è una delle sfide più impegnative e suggestive possibili. È poesia nella sua formula più immediata’ (p. 165).

Sarà proprio la vecchia titolare di quel negozio a chiarire a Grace molti dettagli a lei sconosciuti e ad aiutarla a capire chi fosse madame d’Orsey e quali legami avessero. Soltanto una volta scoperta la verità, Grace capirà l’importanza del testamento e della volontà di madame d’Orsey di renderla economicamente indipendente, per concederle il diritto di scegliere.

Un romanzo che, muovendosi tra le fragranze di un profumo, tratteggia, senza alcun pregiudizio, personalità femminili alquanto affascinanti e moderne.

XY – Sandro Veronesi

XY - Sandro Veronesi

Voto: 8,0

Titolo: XY

Autore: Sandro Veronesi

Genere: Thriller Narrativa contemporanea

Editore: Fandango, 2010

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

L’ho detto ai carabinieri, l’ho detto al Procuratore, l’ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto “cosa avete visto?”: l’albero, abbiamo visto, l’albero ghiacciato. E stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco – e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, è rimasto l’unica cosa intera che abbiamo visto. L’albero. Era lì, al suo posto, all’imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca – ma era rosso. Era rosso, sì, come se Beppe Formento, nell’atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. In quel bianco fatale era l’unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava – non esagero – acceso, pulsante di quell’intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. Sogno quella trasparenza rossa, sì, ancora oggi, e la sogno senza più l’albero, ormai, senza nemmeno più la forma dell’albero: sogno quel colore e nient’altro. Un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un’immensa caramella Charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perché è ciò che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. Cosa avete visto? Abbiamo visto l’albero ghiacciato intriso di sangue.

 

Devo essere impazzito per aver deciso di leggere e recensire questo libro. Qualsiasi pensiero strutturato può trovare la sua perfetta antitesi in questo romanzo che, com’era evidentemente nelle intenzioni dell’autore, spiazza e conferma, innervosisce e tranquillizza, accarezza e schiaffeggia. Il tutto in un caleidoscopio ipnotico in cui il lettore, assuefatto dalla lettura, non può far altro che continuare a leggere, sperando che prima o poi il gioco diabolico di Veronesi finisca. Ma l’autore sembra, con sadismo crudele, voler tenere fino all’ultima riga, e oltre, ben saldi i fili che legano il malcapitato lettore al libro.

La copertina è un capolavoro, la quarta un’esca irresistibile: per chi è alla ricerca di un thriller con i controfiocchi sembra un volume da non lasciarsi scappare. E poi la qualità della carta… insomma, complimenti alla Fandango per la confezione. La polpetta avvelenata è servita, e va giù in un solo boccone, tanto è appetitosa. Perché XY non è un thriller. Ebbene, allora cos’è? Il mio forma mentis mi porterebbe a dover catalogare ogni cosa, ma in questo caso ho rinunciato. XY non è un thriller, è e basta.

Borgo San Giuda è un minuscolo paese nel Trentino, a cui si arriva da una sola strada. Settantaquattro case in tutto, un negozio di generi alimentari, un bar, l’immancabile chiesa e nient’altro. La slitta di Beppe Formento, che porta i turisti in visita al borgo, una mattina ritorna stranamente vuota. Il parroco del paese, Don Ermete, si reca nel bosco vicino, lungo il tragitto che i cavalli della slitta conoscono a memoria, e ciò che si trova davanti è la scena più agghiacciante e inspiegabile che mente umana possa concepire. Undici morti, undici corpi straziati che solo la pietà di una nevicata ne ha reso la vista meno terribile. L’autopsia rivela l’impossibile: le cause delle morti sono una diversa dall’altra e, soprattutto, alcune non sono conciliabili con il luogo del delitto e con le condizioni ambientali. Si va da ferite da arma da fuoco e da taglio al soffocamento, dalla ferita mortale per morso di squalo all’overdose da eroina, dall’uomo decapitato a quello morto di cancro. Il tutto ai piedi un albero ghiacciato, rosso come il sangue di quei poveretti. I pochissimi abitanti di Borgo San Giuda passano dalla tranquillità dei loro gesti quotidiani alla frenesia del mondo mediatico: interviste, polizia, televisioni. Il piccolo paese diventa il centro del mondo, curioso di dare una spiegazione razionale alla strage. E qui il romanzo compie la sua metamorfosi: i tratti del thriller sfumano per dare spazio alle storie degli abitanti, che da comparse diventano i veri protagonisti. Scaraventati a forza in un mondo che non conoscono, mostreranno tutte le patologie conseguenti a isolamenti prolungati. Molti presenteranno disturbi psicotici, già presenti ma latenti; la strage da questo punto di vista non fa altro che da detonatore, accelerando un processo già innescato. Don Ermete, accorgendosi che la sua piccola comunità sta precipitando in una spirale verso il basso, chiama la psicologa dell’ASL Giovanna Gassion, che accetta di aiutare il prete spinta anche da una cicatrice in un dito che si è inspiegabilmente riaperta dopo molti anni senza alcun motivo.

Chi si aspetta un’evoluzione delle indagini, una spiegazione razionale della strage e un colpevole, resterà deluso: il romanzo vira decisamente verso le storie personali degli abitanti e dei due protagonisti, il prete e la psicologa, e di come loro due, insieme, cerchino di curare, in uno strano mix di fede e scienza, il male che si è impadronito di loro. X e Y, uomo e donna, yin e yang, razionale e spirituale, scienza e fede: forse quest è la vera essenza del romanzo, che rimane godibile, una volta vinta la frustrazione del “non sapere come va a finire”, fino all’ultima riga. Un punto di domanda a proposito della bambina scomparsa: non ho capito se l’autore volesse dare un “contentino” al lettore, se volesse rivendicarne l’innocenza liberandola dal male, o insegnare che è più importante chiedersi il “perché” e non il “come” delle cose.

Lo stile è impeccabile, ma un po’ pretenzioso in alcune digressioni. Forse nella seconda parte c’è un leggero disequilibrio tra dialoghi e sequenza descrittive, ma c’è da scommettere che fosse nelle intenzioni dell’autore. I tanti puntini di sospensione nei dialoghi appesantiscono un po’ lettura, ma rendono molto bene l’idea dell’atmosfera densa e pesante che si respira tra le stradine di Borgo San Giuda.

XY non è un thriller, ma allora cos’è? XY è un progetto, come si può vedere dal sito della Casa Editrice. È un esperimento multimediale: nel sito ufficiale del libro si possono trovare informazioni, indizi, glossario dei termini, storie dei personaggi, persino una piantina di Borgo San Giuda. Il tutto per aumentare l’attesa prima della pubblicazione e, poi, per tenere accesa la fiammella del ricordo una volta chiuso il romanzo. Un’operazione di marketing che ho apprezzato. Fandango prova a dare una scossa all’editoria classica, cercando di creare un “cinema” attorno al testo.

Non è un romanzo da bianco o nero, senza sfumature. Apprezzabile soprattutto da chi riuscirà a vincere la delusione della sua non-conclusione.

 

Intervista nel blog Le Pagine di Sharma

Intervista a opera di Sharma nel blog Le Pagine di Sharma

http://lepaginedisharma.it/la-gabbia-invisibile/

 

1.  Il suo romanzo è molto d’attualità: potere politico, indagini insabbiate, potere mediatico, amicizie tradite, assenza di valori, mancanza di rispetto per l’uomo e per la sua vita. Tutto questo materiale proviene da esperienza personale o è puro frutto della sua fantasia? Ci faccia stare tranquilli (anche se sappiamo che è tutto vero). Ci racconti un po’ da dove nasce l’idea?

L’idea è nata in seguito alla lettura di un libro, Il meraviglioso mondo del sonno di Peretz Lavie, consigliatomi dalla mia compagna, psicologa e psicoterapeuta, circa sette anni fa. In questo testo, il sonno e i sogni vengono analizzati da un punto di vista fisiologico: perché serve dormire, quali sono le aree del cervello interessate, i sogni come esperienza cognitiva e come la realtà può influenzarli. Ho pensato che i sogni potessero diventare l’elemento centrale e portante di un esperimento di realtà virtuale, altro argomento che mi ha sempre affascinato. L’idea della manipolazione mentale è venuta quasi da sé, data l’attualità del tema. Lo scopo era far riflettere su quanto la realtà sia ormai fin troppo “modellizzata” e di come la ricerca del potere e del profitto siano ormai più importanti della dignità umana. La stesura del romanzo ha richiesto complessivamente quasi tre anni, un periodo lungo in cui l’idea iniziale si è evoluta, sviluppata in modi che hanno stupito perfino me. Tutto è cominciato la sera del 26 Dicembre 2006, nella pizzeria dove lavoravo nei fine settimana per arrotondare: su un tovagliolo, di getto, scrivo il prologo. Poi, nelle ore successive, lo passo al computer. Così è iniziata un’avventura che spero non finisca mai.

2. I suoi studi (Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni) sono stati fondamentali o ha avuto l’appoggio e la consulenza di esperti nel settore?

Diciamo che il forma mentis scolastico mi ha aiutato non poco per quanto riguarda le parti più tecniche relative alla Simulazione.La passione per i codici e la crittografia viene sempre dal mio percorso formativo, anche se ho avuto modo di affinarla solo negli ultimi anni, grazie alla lettura di alcuni libri illuminanti. Non tutti sanno che, ad esempio, la sicurezza delle transazioni economiche in Internet è legata alla crittografia: il numero della nostra carta di credito non viaggia in chiaro in rete, ma viene codificato, cioè reso irriconoscibile per chi non è in possesso della chiave per risalire al numero di partenza. È un mondo affascinante, e non solo per chi ama la matematica e i numeri. Per quanto riguarda termini medici, come definizioni di neuropsicologia, patologie mentali e principi attivi di farmaci, ho avuto la fortuna di avere una fonte autorevole in casa…

3.  Se la devo dire tutta, la parte che più mi ha lasciata di stucco (ma piacevolmente, narrativamente parlando) è stato il colpo di scena del tradimento di un’amicizia decennale fra due protagonisti, tutto e solo per il vile denaro. Non te lo aspetti proprio, o meglio vorresti che non accadesse mai. È stato narrato per esperienza vissuta o esigenze di trama?

Penso sia capitato a tutti di rimanere delusi da alcune amicizie che non si sono rivelate poi come tali. Anche a me, naturalmente, è successo. Ma un vero e proprio tradimento come descritto nel romanzo, per fortuna, no. E non lo auguro a nessuno. Diciamo che la scelta è stata dettata dalla trama: avevo bisogno di un colpo di scena in quel punto del romanzo e il tradimento calzava a pennello. Il movente è tanto banale quanto indisponente per la sua subdola mediocrità: il denaro non è mai il fine, ma il mezzo, spesso il più semplice, per ottenere ciò che si vuole senza fatica.

4. Le rivolgo le domande che ho posto nella mia recensione: Vero non vero, siamo pilotati, dal cibo, dalle cose? se sì, da chi? e per quale scopo? Siamo manipolati o manipolabili? Lei ci crede realmente?

Scrivere ti fa anche riflettere, elaborare pensieri che altrimenti fluttuerebbero nella testa senza soluzione di continuità. E poi in un romanzo si può prendere un concetto che ha un fondo di verità ed estremizzarlo, spettacolarizzarlo, renderlo ridicolo o grottesco. Credo che alla base ci sia del vero: l’ambiente ci condiziona, come potrebbe essere altrimenti? Pubblicità, luoghi comuni, modelli comportamentali, moralità, perbenismo, dogmi, consuetudini sociali. Mano a mano che il romanzo prendeva vita, mi chiedevo con sempre maggior inquietudine se siamo o meno padroni delle nostre scelte. Non ho trovato una risposta, ma ho fatto una considerazione: scegliere significa prendere, tra due o più possibilità, quella che più ci soddisfa in seguito a una valutazione fatta sulle informazioni in nostro possesso su quel determinato argomento. Se le informazioni sono pilotate o sbagliate, come può la nostra scelta essere libera e consapevole? Internet e i media, come in un gigantesco calderone globale, mettono tutto a disposizione. La mole delle informazioni è enorme e in continua crescita, per non naufragare in questo mare servono tempo e, soprattutto, curiosità, per non accontentarsi della prima risposta, la più semplice e, spesso, fuorviante.

5. Sono rimasta molto colpita dal suo estro e dal suo stile, le auguro molta fortuna, ma mi dedichi un ultimo minuto, cosa vuole far sapere al suo pubblico, mi dica quella domanda che mai nessuno le ha rivolto a cui lei vuole tanto rispondere…

Tutte le persone con cui sono venuto a contatto in merito al libro, amici, colleghi, conoscenti e sconosciuti, si sono dimostrati molto interessati e sorpresi delle modalità di pubblicazione di un libro. I non addetti ai lavori sono spesso convinti che basti saper scrivere per avere successo, come se pubblicazione e visibilità nelle librerie venissero in automatico. Non è certo così! Il numero di scrittori professionisti in Italia si conta sulle dita delle mie e sue mani; questo a fronte di oltre 60000 nuove pubblicazioni ogni anno. Considerando che circa 3 case editrici su 4 chiedono un contributo all’autore per pubblicare, la vera domanda che vorrei che mi fosse rivolta è: “Cosa sei disposto a fare pur di pubblicare?” Al che risponderei con fermezza: “Tutto, ad esclusione di ciò che rovinerebbe il mio stesso lavoro”. E pagare per pubblicare è il miglior modo per buttare alle ortiche la propria opera. A quelli non ancora convinti, risponderei con una domanda: “Pagheresti mai per lavorare?”