A tutti i costi

Il racconto che segue vorrebbe denunciare, in maniera leggera e grottesca, lo stato dell’Editoria in Italia e la difficoltà di pubblicare per chi, come me e come molti altri, ha deciso di armarsi di penna e spada per dare voce ai propri sogni.
Il protagonista, a cui ho prestato il mio vero nome, è un personaggio di fantasia,
con cui condivido però alcuni aspetti caratteriali e somatici.

Venezia, 12 Agosto 2014

“Perché l’ha fatto, Signor Baldoni?”
Guardo divertito il commissario. Sulla targhetta, tra scartoffie e computer, leggo Commissario Giuseppe Esposito. L’accento, più ancora che il cognome, lo inganna. È indubbiamente meridionale, probabilmente dalle parti di Napoli. Simpatici, i napoletani. Il mio nuovo amico Giuseppe ha un’aria stanca e annoiata. E lo credo: è quasi mezzogiorno, fa caldo e preferirebbe starsene in qualche spiaggia assolata. Leggo antipatia nel suo sguardo, probabilmente ha già letto il verbale che mi riguarda e chissà quali altre informazioni sul mio conto. Mi è simpatico, questo baffuto e paffuto commissario, e un po’ mi spiace che si faccia di me un’idea sbagliata. Quando gli avrò spiegato tutto mi darà ragione, capirà che non potevo fare altrimenti.
Io, seduto nella mia sedia, sono tranquillo e rilassato. Certo, ho un po’ di sonno, ho dormito solo poche ore e l’ultima notte è stata molto faticosa. Il letto della cella non era poi così scomodo, ma quando mi hanno arrestato, stanotte, erano ormai le quattro del mattino. Da due ore mi fanno girare da un ufficio all’altro, sempre in piedi e con le manette che, vi assicuro, sono tutt’altro che comode. Io poi ho sempre odiato i braccialetti. Per fortuna il mio nuovo amico Giuseppe me le ha fatte togliere appena mi ha visto. Forse ha capito che non sono poi così pericoloso.
Fatico ancora a credere di aver trovato il coraggio di fare quello che avevo preparato ormai da tempo. Ora mi sento stanco ma, finalmente, appagato. Vorrei lasciarmi andare nella sedia. Le braccia mi fanno male, i polsi mi pulsano. Penso con soddisfazione alla mia opera, che finalmente riceverà l’attenzione che merita. Ed è un pensiero dolce, che mi accarezza l’anima e mi dà delle piccole, quasi impercettibili scosse alla testa. La voce del commissario interrompe il torpore in cui stavo per precipitare.
“Allora, Signor Baldoni, ci vuole spiegare perché ha fatto quello che ha fatto?”
Certo, che stupido. Giuseppe ha bisogno di una spiegazione e io gli sto facendo perdere tempo. Glielo devo a questo paffuto napoletano, emigrato qui al Nord per chissà quali ragioni. E lo devo anche alla mia città. Lo devo alla mia Venezia, che amo così tanto, ma che mi ha visto costretto a deturparne uno dei simboli che l’hanno resa famosa nel mondo. Ho dovuto farlo, pur sapendo di attirarmi l’antipatia di molti miei concittadini. D’altra parte, si sa, si riesce a fare serialmente del male solo a chi si ama. Ma, in questo caso, si tratterà di una ferita superficiale, che si rimarginerà presto.
Finalmente, dopo le ultime ore dove mi ero chiuso in un mutismo assoluto, anche per creare un alone di mistero sul mio gesto, decido di aprire la bocca e soddisfare il mio interlocutore.
“Caro commissario, le dirò tutto, ma a una condizione”.
Mi stupisco di come il mio tono risulti deciso e la voce ferma. Il caro Giuseppe Esposito tradisce un certo stupore; quando risponde, lo fa con una punta di disappunto ma anche, mi sembra di scorgere, di divertimento.
“Non mi sembra che lei sia nella posizione di dettare condizioni, comunque sentiamo cos’ha da dire”.
Mi metto composto nella sedia. È strano per uno che ha le mie aspirazioni, ma parlare di me mi ha sempre messo in imbarazzo. Ci provo.

 

Mi chiamo Stefano Baldoni, sono nato a Venezia il 12 Agosto di 39 anni fa. Non è un caso che sia qui a raccontarvi di me, oggi, proprio nel giorno del mio compleanno. Nulla accade per caso.
Nasco senza una capello e venti giorni dopo la data stabilita dai dottori. Questi due fatti hanno indelebilmente segnato la mia vita: i capelli li ho persi quasi tutti prima di compiere vent’anni e sono un ritardatario cronico. Per ripicca e per evitare l’effetto palla da bowling mi sono fatto crescere la barba, in modo da ristabilire l’equilibrio. Per quanto riguarda il ritardo, invece, ho una vera e propria patologia: se ho il sospetto di essere in orario, mi trovo qualcos’altro da fare in modo da arrivare tardi.
Non sono mai stato bello ma, per fortuna, nemmeno timido: la prima morosa l’ho avuta all’asilo. Alle elementari e medie poi, la mia intraprendenza ha fatto, per l’appunto, scuola; vuoi perché Venezia ispira poesia nei suoi abitanti, vuoi perché avevo capito che per ottenere le cose è necessario sudarsele. Peccato che a una certa riconosciuta bravura nell’approccio, non si sia mai accompagnata altrettanta capacità di instaurare rapporti duraturi. Ecco perché, a 39 anni, sono ancora single per scelta. Scelta di altri, si intende. Molte storie, tante relazioni, molto fumo e poca sostanza.
Ma torniamo all’adolescenza, tempo di ormoni con i denti. Per mantenere vivo il mio istinto di cacciatore, mi iscrivo a un istituto tecnico a Mestre prima e a Ingegneria delle Telecomunicazioni poi. Il percorso tecnico, si sa, è quasi privo di anime femminili, e avrei corso il rischio di sentirmi appagato in ambienti pieni di rappresentanti del gentil sesso come licei e atenei umanistici. Nonostante spiccate doti nelle arti del gozzoviglio e del cazzeggio, riesco a diplomarmi e laurearmi. Non perché sia particolarmente intelligente, ma perché testardo e tenace. E poi odio interrompere le cose a metà.
Nel frattempo, quando ho ancora 15 anni, sono costretto a trasferirmi a Mestre per scelte familiari, abbandonando così l’aura protettiva e compassata di Venezia, a cui però il cuore rimane legato.
Del mio lavoro non vorrei parlare molto, passo dalle otto alle dieci ore al giorno in uno stabilimento in cui si producono oggetti che devono essere poi venduti, nell’ottica di produrne sempre di più. Fino al completo esaurimento delle risorse, mi viene da aggiungere. Ma questa è un’altra storia. Maledette digressioni.

 

Ora devo ritornare sulla Terra. Il buon commissario sta aspettando la mia mossa. Volente o nolente sono riuscito a stimolare la sua curiosità, glielo leggo negli occhi. Respiro a fondo due volte e parlo.
“Lei registrerà quanto le dirò e la registrazione dovrà essere integralmente riportata domani su tutti i giornali locali”.
Non che avessi dubbi sul fatto che il mio gesto avrebbe avuto una qualche risonanza mediatica, anzi. L’avevo fatto apposta. Ma volevo essere io a decidere il messaggio.
Senza dare modo al commissario di rispondere, forse incredulo, forse dubbioso della mia totale sanità mentale, comincio a raccontare la mia storia.

 

Da Il gazzettino del 13 Agosto 2014

Palazzo DucaleL’impalcatura che, per i lavori di ristrutturazione in corso, copre da circa quindici mesi Palazzo Ducale, uno dei simboli di Venezia nel mondo, la scorsa notte è stata oggetto di una bizzarra aggressione. Da oggi, e chissà per quanto, veneziani e turisti potranno “ammirare” un enorme disegno che ne copre quasi un quarto dell’intera superficie, in bella vista da Piazza San Marco. Autore dello strano gesto è Stefano Baldoni, un veneziano di 39 anni, ora residente a Mestre, ingegnere stimato e, fino a ieri, cittadino modello.

Il motivo è spiegato dallo stesso autore in una testimonianza registrata e riportata, come da sua esplicita richiesta, in esclusiva nel nostro giornale. C’è da dire che l’atto vandalico non lascerà segni indelebili al celebre monumento: basterà infatti attendere il termine dei lavori e la rimozione dell’impalcatura, anche se c’è da interrogarsi sull’attendibilità della data, già posticipata due volte.
L’autore voleva certamente attirare l’attenzione su di sé: al termine dell’opera è stato lui stesso a contattare le forze dell’ordine e, al loro arrivo, era già circondato da un nutrito numero di persone. Alcuni divertiti, di certo turisti reduci da una nottata a bacari, altri inviperiti, di certo veneziani non contenti della scelta del celebre monumento come “vetrina”. Viene anche da interrogarsi sulla sanità mentale di Baldoni, che all’interrogatorio in Questura è però sembrato perfettamente lucido e in pieno possesso delle proprie facoltà mentali.
Riportiamo di seguito la registrazione così come ci è pervenuta per dovere di cronaca e senza esprimere giudizi sui contenuti, limitandoci a porre un quesito finale. Preferiamo lasciare ai nostri lettori giudicare quanto segue.

 

“Chiedo scusa a tutti i veneziani e a quanti amano Palazzo Ducale in particolare. Il disegno che da oggi vedrete sull’impalcatura che lo copre, rappresenta la copertina del mio romanzo, un thriller dal  titolo “La gabbia invisibile”. Rappresenta, stilizzata e digitalizzata, la testa di un uomo che urla dentro una gabbia.
Copertina La gabbia invisibileSpero che inquieti quanti la vedranno, perché era quello il mio scopo. Entrare nel cantiere è stato facile, ma mi ci sono volute quasi venti bombolette di vernice e quattro ore di lavoro per riprodurre la copertina sulla tela dell’impalcatura.
Perché l’ho fatto, vi chiederete.
Il motivo è molto semplice: è l’unico modo per riuscire a pubblicare. Il mio romanzo, un thriller, è stato sottoposto alla valutazione delle principali Case Editrici italiane e, pur ricevendo complimenti per contenuti, stile e forma, è sempre stato rifiutato. Sulle prime non riuscivo a capacitarmene, poi ho cominciato a raccogliere un po’ di informazioni.
La verità è che in Italia si legge poco e, viceversa, si scrive molto. Ogni anno vengono pubblicati circa 60000 libri. In altre parole, oltre 160 libri al giorno, e stiamo parlando solo di nuove pubblicazioni e ristampe. Troppi, per un’industria che dal punto di vista delle vendite non decolla. Infatti solo una percentuale esigua arriva in libreria, e una percentuale ancora inferiore ha tirature che superano il migliaio di copie. Considerato il basso livello di alcune pubblicazioni, la cosa potrebbe anche essere positiva, se servisse ad alzare il livello dell’offerta. Purtroppo non è così. Le Case Editrici, coloro che di fatto stampano e pubblicano i libri, sono prima di tutto delle aziende e in quanto tali devono ottenere un utile. Un libro è, al di là di tutte le speculazioni e stereotipi, un oggetto che deve obbedire a precise regole di mercato. È un dato di fatto, ad esempio, che gialli e thriller vendano più di saggi e poesia. Da qualche anno poi, molti comici, calciatori, presentatori o personaggi comunque non famosi in ambito letterario hanno pubblicato libri di successo, saltando di fatto la gavetta a cui tutti gli altri sono invece costretti agli inizi. Sembra infatti che il solo nome famoso basti alle grandi Case Editrici per elargire generosi contratti di pubblicazione, abbandonando quindi quella che dovrebbe essere, almeno nell’immaginario collettivo, la loro prima missione: diffondere la cultura. Ciò passa in secondo piano a favore del facile profitto derivante dalle vendite del libercolo scritto dal vincitore del reality di turno o dal calciatore del momento. L’editoria e le librerie di qualità esistono, ma faticano a rimanere a galla.
Non potendo combattere il sistema con l’unica arma in mio possesso, la penna, ho deciso di adeguarmi anch’io: diventerò famoso! Il mio gesto mi darà visibilità; mi renderà, anche se per poco, celebre. Come personaggio famoso nessuna Casa Editrice rifiuterà il mio romanzo. Arriverò alla pubblicazione e avrò, finalmente, successo.
Scrivere per me è ormai una droga e pubblicare un’ossessione; il mio mestiere di ingegnere mi sembra, ora, inutile e alieno. Io sono nato per scrivere libri. Pubblicherò con una grande Casa Editrice. A tutti i costi”.

 

Ecco quindi il motivo di tanto trambusto.
Viene spontaneo chiedersi se il vero motivo per cui il romanzo in esame non abbia già trovato la soddisfazione della pubblicazione, non sia in realtà un altro, molto più semplice: e se la qualità dello scritto non fosse tale da meritare l’attenzione di una grande Casa Editrice?
Se così fosse, allora, l’autore dovrebbe pensare a qualcosa di più eclatante per ottenere visibilità. Magari evitando, ci auguriamo, di recare danno ai monumenti della nostra amata, e già fin troppo vituperata, città.

 

Il fuoco nell’anima – Gianpiero Possieri

Il fuoco nell'anima - Gianpiero PossieriVoto: 7,0

Titolo: Il fuoco nell’anima

Autore: Gianpiero Possieri

Genere: Giallo / Thriller

Editore: Sogno Edizioni, 2011

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE

«Io credo che a volte succedano cose delle quali non abbiamo il controllo. Situazioni imprevedibili che attraversano la nostra esistenza. Quando capitano, siamo portati a compiere delle scelte. Siamo noi quindi, con le nostre decisioni, più o meno inconsce, a essere artefici del nostro destino. E credo anche che la scelta più insignificante sia in grado di influenzare tutta la nostra vita, nel bene e nel male. Può farci prendere strade che mai avremmo immaginato. Può essere una linea di confine fra la fortuna e la sfortuna, fra la vita e la morte».  Carlo, brillante studente e appassionato di criminologia, sognava di diventare un grande scrittore e di conquistare Chiara, sua compagna di classe. Manuel, invece, era animato da una forte passione per il giornalismo. Passano gli anni, Manuel diventa un cronista d’assalto senza scrupoli, Carlo un insegnante di italiano, che nel tempo libero collabora come criminologo per la polizia locale. Un macabro ritrovamento, identico a un altro avvenuto dieci anni prima, cambia per sempre le loro esistenze.  Oggi Carlo trascina la propria vita fra alcool e psicofarmaci, in uno sperduto paese di montagna, passando le giornate di fronte a una grande tela bianca. Ma un giorno Manuel torna a bussare alla sua porta, spettro di un passato che crede sepolto e che lo costringerà a fare i conti col suo destino.

Gianpiero Possieri, l’autore di questo bel romanzo, non c’è più. Una brutta malattia se l’è portato via lo scorso 11 Gennaio. Aveva la mia età. Ci eravamo conosciuti virtualmente in un forum che promuove l’editoria sana, il Writer’s Dream, casa e rifugio per autori esordienti e aspiranti tali. Non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma gli sono grato per i consigli che ha saputo dare a tanti che, come me e come lui, cercano di farsi strada nel difficile mondo delle Case Editrici. Avevo acquistato il suo secondo romanzo, Il fuoco nell’anima, al Pisa Book festival nel 2011, incuriosito dalle tante recensioni positive che aveva ottenuto. Oggi, per caso, ho ripreso in mano questo libro, e mi sono chiesto per buoni dieci minuti se avesse senso scriverne la recensione ora, che sono passati un paio d’anni dalla lettura. E mi sono risposto che sì, un senso ce l’ha e ce l’avrà sempre, perché un libro è un modo per lasciare un segno del nostro passaggio, e scriverne la recensione mi ricorderà che Gianpiero ha comunque toccato anche la mia vita.

La vicenda si svolge in un ventennio, dal 1988 al 2008 e si sviluppa in tre piani temporali distinti. I due protagonisti, Carlo, che sogna di diventare un scrittore di thriller e Manuel, che sogna di diventare un cronista d’assalto, sono amici dai tempi della scuola nel ’88. In questi vent’anni le loro vite si intrecciano e si separano, a causa principalmente dell’arrivismo di Manuel. Suo fratello, Samuel, lavora nella polizia locale e li coinvolgerà in un evento misterioso accaduto nella loro scuola. Evento che si ripeterà poi nel ’98, portando a un tragico epilogo per Carlo. I due protagonisti si ritroveranno infine nel 2008, e vincendo i vecchi dissapori e le reciproche accuse, si metteranno sulle tracce del responsabile dello sconvolgimento delle loro vite, il misterioso Michele.

Devo dire di aver fatto un po’ di fatica all’inizio, per due diversi motivi: la storia non decollava, e i tre piani temporali mi sono risultati un po’ ostici. In alcuni punti ho fatto fatica a distinguere i personaggi e collocarli nel corretto periodo temporale. Dopo circa una cinquantina di pagine, invece, la lettura è stata molto più fluida e coinvolgente. L’intreccio nel complesso funziona, mantiene la suspence e non c’è nulla di banale o scontato. Un paio di appunti: la vendetta di Michele risulta un po’ esagerata, e la scena del ritrovamento in galleria è sì giustamente drammatica, ma forse poco dettagliata.

Molte le chiavi di lettura. Bello il messaggio portato dai due protagonisti: la vita può dividere, ma un’amicizia vera non ha fretta, sa aspettare e resistere e, alla fine, vincere su tutto. Un altro bel messaggio è quello legato a Carlo: non si può fuggire da se stessi. Arriva un momento nella vita, per quanto lo si possa procastinare, in cui si dovrà lottare contro i propri fantasmi. E c’è sempre una seconda possibilità.

Buona l’alternanza tra momenti di riflessione e azioni. Buono anche il mix tra azioni e dialoghi. L’autore riesce a disegnare le scene in maniera chiara senza eccedere nelle descrizioni. Buona anche le chiusure dei capitoli: tengono vivo l’interesse e la voglia di leggere la pagina successiva.
Forse lo stile, soprattutto nei dialoghi, risulta in alcuni punti un po’ troppo “corretto”, poco adatto forse ad un thriller. Sono convinto sia stata una precisa scelta stilistica, ma la concitazione di alcune scene avrebbe forse richiesto un linguaggio un po’ più spinto, anche scurrile in alcuni punti.
Qualche volta i dialoghi mi sono sembrati un po’ affettati e fini a se stessi, soprattutto quando è Carlo a parlare. Anche se, a onor del vero, fa parte del suo personaggio l’essere logorroico.

Carlo è certamente ben descritto e delineato, e risulta decisamente il personaggio principale. Non si riesce a provare simpatia per Manuel che, seppur indirettamente, è la causa della morte della moglie di Carlo. Forse volutamente l’autore non ne ha approfondito carattere e psicologia, ma così ìl lettore non riesce a perdonare il suo arrivismo. La psicologia di Michele avrebbe invece meritato un approfondimento: non facendolo, il lettore dà una spiegazione puramente razionale alla sua vendetta. E, in quest’ottica, risulta poco credibile o quantomeno fortemente esagerata.

Nel complesso è un bel thriller e il finale chiude perfettamente il cerchio. Mi spiace non potermi aspettare un’altra opera di questo autore. Mi spiace un sacco. Gianpiero aveva un nick name nel forum dove l’ho conosciuto e dove sarà per sempre una celebrità, ed è con quel nome che vorrei salutarlo: ciao Jack.

Intervista nel blog bellezzegossip

Intervista a opera di Viola nel blog bellezzegossip

http://www.bellezzegossip.com/cultura/stefano-baldoni-presenta-il-romanzo-thriller-la-gabbia-invisibile

Stefano Baldoni Presenta il Romanzo Thriller “La Gabbia Invisibile”

Articolo originale Bellezzegossip.com

 "La Gabbia Invisibile"

Una copertina inquietante, almeno quanto il titolo: “La Gabbia Invisibile”Stefano Baldoni, attraverso un’intervista esclusiva al nostro portale, ci presenta il suo thriller, pubblicato da Greco&Greco Editori, che promette di appassionarvi e farvi tremare un po’…

Ciao Stefano, prima di parlarci del tuo libro ci racconti qualcosa di te?

Ciao Viola, prima di tutto grazie per l’opportunità. Mi chiamo Stefano Baldoni, ho 38 anni e vivo in un piccolo paese tra Venezia e Padova. Mi occupo di Marketing per una multinazionale che ha, caso più unico che raro, la sua sede principale proprio qui, in Italia. Oltre a scrivere e, chiaramente, leggere, i miei hobby sono il basso elettrico, il ballo, la musica, gli sport da combattimento e il calcio. Mi piace la confusione, stare in mezzo alla gente, osservarla, abbandonarmi al mondo. Ma ci sono anche momenti in cui cerco il silenzio e il buio assoluti.

Cosa rappresenta per te la scrittura e come è cominciata la tua avventura editoriale?

Tutto è cominciato la sera del 26 Dicembre 2006 nella pizzeria dove lavoravo nei fine settimana per arrotondare. Di getto, su un tovagliolo, scrivo a penna quello che poi è diventato il Prologo de La gabbia invisibile. Ricordo ancora l’emozione del ritorno a casa e la trascrizione su computer. Ero pieno di dubbi, ma da quella notte non mi sono più fermato. È una cosa che desideravo fare da troppo tempo. La scrittura per me è espressione, è uno dei miei modi di essere e di “arrivare” agli altri.

Parlaci del tuo libro…

La gabbia invisibile è un thriller corale, dove tutti i personaggi sono protagonisti e, al contempo, comparse. Ho voluto sviluppare una storia che legasse sogni, realtà virtuale, somministrazione di farmaci proibiti e un progetto fantapolitico di manipolazione mentale. Il romanzo tratta temi attuali, come l’alienazione che porta l’utilizzo smodato delle moderne tecnologie, sempre più potenti e, nelle mani sbagliate, pericolose; l’insoddisfazione per la propria vita, la fuga dalla realtà e la ricerca di un’altra identità, dove potremo essere finalmente chi vorremmo essere; il potere delle case farmaceutiche e il confine sempre più labile tra ricerca scientifica e interessi economici.

Cosa ti aspetti da questa pubblicazione, cosa vorresti lasciare ai lettori, con le tue parole?

Prima di tutto vorrei provare a divertirli con una storia avvincente. Quando leggo un thriller mi piace sorprendermi, venire sopraffatto dagli eventi, emozionarmi. Spero di essere riuscito a regalare le stesse cose. E poi vorrei far riflettere sulla nostra realtà, di come sia ormai omologata e modellizzata, e su come, nonostante tutto, possiamo ancora essere artefici delle nostre scelte.

La colonna sonora perfetta per il tuo libro sarebbe…?

Non ci crederai, ma una colonna sonora il romanzo nella prima stesura ce l’aveva davvero. Poi, di comune accordo con l’editore, abbiamo deciso di eliminarla. Si spaziava dal genere Ambient, con Brian Eno, Scorn, Sigur Ros, al Trip Hop, con Bjӧrk, Tricky, Massive Attack, Portishead, ascoltati per lo più durante la stesura, al Metal, con i Metallica, Korn, Faith No More e molti altri diversi generi, per il messaggio particolare che volevo trasmettere in quel determinato passaggio del romanzo.

Che tipo di lettore sei? Libro preferito?

Leggo molto, non potrei farne a meno. Il tempo non è mai molto, ma pur di leggere sono disposto a rinunciare ad alcune ore di sonno. Mi piace spaziare tra thriller, saggi, classici, fantascienza, Beat Generation e Transgressive Fiction. Se proprio devo citarne uno, scelgo 1984 di G. Orwell.

Dove si può acquistare il tuo libro?

Il romanzo è acquistabile, in formato cartaceo e in ebook, in tutte le principali librerie online, oltre che fisicamente presente in molte librerie delle province di Venezia, Padova, Treviso e Milano.

È inoltre disponibile su Amazon e sul sito della Casa Editrice.

Per maggiori informazioni sul romanzo visitate il sito dell’autore.

Venti corpi nella neve – Giuliano Pasini

Venti corpi nella neve - Giuliano Pasini

Voto: 6,5

Titolo: Venti corpi nella neve

Autore: Giuliano Pasini

Genere: Giallo / Thriller

Editore: Timecrime, 2012

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

Case Rosse, minuscolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano, ha un primato: è la sede del commissariato più piccolo d’Italia, diretto da Roberto Serra – che viene da Roma ed è considerato uno ed fòra – con l’aiuto dell’agente Manzini. Non succede mai nulla se non qualche rissa tra ubriachi il sabato sera. Ma la notte del Capodanno del 1995 una telefonata sveglia Manzini in piena notte. Ci sono tre cadaveri al Prà grand, uccisi senza pietà. I due poliziotti accorrono sul luogo del delitto e uno spettacolo raccapricciante si presenta ai loro occhi: un uomo, una donna e una bambina sono stati colpiti a morte da distanza ravvicinata con un fucile. È un’esecuzione, senza alcun dubbio. Ma non ci sono schizzi di sangue intorno alle vittime e la loro posizione non combacia con la traiettoria degli spari. A chi appartengono questi corpi straziati che chiedono giustizia? Chi ha violato la pace di quel piccolo paese perso tra le montagne, e per quale motivo? E perché così tanta violenza da sorprendere anche un uomo come Roberto Serra, abituato a omicidi ben più efferati? Per il commissario comincerà un’indagine che lo porterà a rivivere il passato del luogo in cui si è rifugiato, e ad affrontare i demoni che albergano nella sua anima e nel suo cuore.

 

Mi sono avvicinato a Venti corpi nella neve, romanzo d’esordio di Giuliano Pasini, finalista del concorso Io Scrittore 2012, sponsorizzato dal gruppo editoriale Mauri Spagnol, grazie al consiglio di un amico. Avevo quindi delle aspettative molto alte che, devo dire, sono state in parte disilluse.

 

L’autore tratteggia con una certa maestria un paesino perso nell’Appennino tra Bologna e Modena, Case Rosse, e i suoi abitanti che guardano di sottecchi gli “stranieri”, cioè tutti quanti vengono ed fòra, come il commissario Roberto Serra, rifugiatosi lì quattro anni prima per fuggire da un passato che vorrebbe dimenticare.
La mattina di Capodanno del 1995, il tranquillo tran-tran del paesino viene scosso da un evento terribile: tre corpi vengono rinvenuti davanti alla casa di uno degli abitanti. Un’intera famiglia sterminata a colpi di fucile da distanza ravvicinata: madre, padre e la loro unica figlia. Un’indagine che sembra risolversi velocemente, ma che si scopre invece essere legata a un’altra strage, avvenuta nello stesso paese nel Capodanno del 1945. Venti corpi nella neve, un massacro di massa ad opera delle SS guidate dal Boia dell’Appennino Enrico Zanarini che, seppur cresciuto in quei luoghi, scelse di arruolarsi tra le forze nazi-fasciste.
1945-1995: cinquant’anni in cui il paese non ha dimenticato le torture e gli orrori della guerra. Il passato ritorna e chiede il conto con gli interessi, conteggiati in cinque decenni in cui è mancata la giustizia dei martiri.
Anche il commissario Serra dovrà fare i conti con il passato, sotto la forma di Alice, ex mai dimenticata, con cui si troverà suo malgrado a indagare.

 

Bello il mix tra passato e presente, ben descritte alcune scene relative alla seconda guerra mondiale, specialmente quelle relative alla strage del Prà Grand. Nel complesso è un libro ben scritto, che si fa leggere, ma privo di guizzi a livello stilisto. I personaggi odorano di “già sentito” e, pur essendo sufficientemente descritti, non generano empatia. Forse il motivo è nella precisa scelta stilistica dell’autore: più asciutto che passionale, più scandinavo/anglosassone che italiano (nonostante le ambientazioni nostrane). Alcune scelte dell’autore mi hanno lasciato perplesso: la danza, ovvero la capacità di Serra di rivivere gli ultimi istanti delle vittime, è un che di soprannaturale che, a mio parere, stona con la storia, cupa e tremendamente reale.

 

Meglio la seconda parte, dove gli eventi si susseguono con una certa suspence, piuttosto che la prima, dove francamente la storia non decolla. Il lettore arriva a leggere il collegamento tra passato e presente ben prima del commissario Serra. Il finale è piuttosto scontato, l’autore cerca di stupire il lettore senza riuscirci. Personalmente, rimango sempre deluso quando indovino il colpevole.
Rimango comunque curioso per gli altri lavori di Giulianio Pasini, che non mancherò di leggere.