Lo spettro – Jo Nesbo

Lo spettro - Jo Nesbo

Voto: 7,0

Titolo: Lo spettro

Autore: Jo Nesbo

Genere: Crime

Editore: Einaudi, 2012

Consigliato: Solo agli appassionati di Harry Hole

 

 

TRAMA ORIGINALE

Sono passati tre anni da quando Harry Hole è andato via. Via da Oslo, via dalla Centrale di polizia, via dalla donna che ha amato e ferito troppo, e troppe volte. Ma dai suoi fantasmi no, da quelli non è riuscito a fuggire: l’hanno inseguito a Hong Kong e ora lo reclamano, e Harry non può non rispondere, non può non tornare. Oleg, il figlio di Rakel, il ragazzo che lui ha cresciuto come fosse anche figlio suo, è in carcere. Accusa: l’omicidio di Gusto Hanssen, il suo migliore amico. Movente: secondo gli investigatori, un regolamento di conti nel mondo della droga. Ma Harry non ci crede. Oleg, il suo Oleg, il bambino che lo teneva per mano e lo chiamava papà, può essere diventato un tossicodipendente, ma non un assassino. E a lui non resta che correre a casa, correre contro il tempo, in cerca di una verità diversa da quella già decretata. Una verità che si nasconde tanto nelle maglie dei sentimenti piú profondi che legano le persone, quanto nei quartieri dello spaccio, con l’ombra misteriosa di un nemico inafferrabile che lo vuole morto.

Nona e (forse?) ultima avventura di Harry Hole, che stavolta l’autore scaraventa nei quartieri malfamati di una Oslo tetra e cupa. Una città che sembra essere ostaggio della droga, tra loschi figuri che ne controllano lo spaccio e tossici che si fanno alla luce del sole, senza pudore alcuno. È la droga il vero protagonista di questa storia, nel suo significato vero e figurato: l’autore stesso sembra esserne dipendente (chiaramente ai fini della trama), data la dovizia di particolari con cui ne descrive i traffici, i meandri, i mali e le dipendenze. Jo Nesbo ci vuole dare una lezione di vita: non si può lottare contro un fututo già scritto. E il messaggio arriva alla grande: raramente un finale mi aveva scosso, stupito e fatto arrabbiare come ne “Lo spettro”.

Harry torna appositamente da Hong Kong per scagionare Oleg, suo figlio adottivo, perché accusato dell’omicidio del suo amico Gusto Hanseen. Il protagonista scoprirà suo malgrado che Oleg è diventato un tossicodipendente. Sullo sfondo, la mafia russa che gestisce i traffici di eroina e violina (una nuova, potentissima droga immessa sul mercato), poliziotti corrotti che intralciano le indagini e uomini e donne accecati dalla brama di potere.

L’autore mescola abilmente le carte, portando avanti in parallelo tante piccole storie apparentemente slegate, per poi svelarne qua e là gli intrecci. Ma non tutti gli indizi porteranno realmente alla verità. Proprio questo voler tenere aperti troppi fronti risulta, forse, il vero limite di questo romanzo: il ritmo della narrazione ne risente, soprattutto nella parte centrale. Alcune scene, troppo rocambolesche, tolgono verosimiglianza alla storia e rallentano il ritmo: una su tutte, la ferita al collo di Hole.

L’autore privilegia certamente l’azione alle descrizioni psicologiche, anche se il protagonista, Harry Hole, il figlio adottivo Oleg e Rakel, sua madre e grande amore del protagonista, sono di fatto ben descritti e si prova empatia per loro. Unico neo per Rakel che, inaspettatamente, non sembra mai troppo preoccupata per la sorte del figlio.

Lo stile è efficace: essenziale, chiaro, lineare. Mi è piaciuto in particolare il modo in cui l’autore ha descritto Gusto Hanseen, amico di Oleg, che parla direttamente al lettore, da morto, per raccontare la sua storia. Ho poi apprezzato un passaggio, per profondità e capacità di sintesi, che cito testualmente:

“Il mondo reale è governato da due tipi di persone. Quelle che vogliono il potere e quelle che vogliono i soldi. Il primo vuole una statua, il secondo il piacere. E la valuta che usano quando fanno affari tra di loro per ottenere ciò che vogliono si chiama corruzione”

In sintesi, “Lo spettro” è un romanzo godibile, forse troppo lungo, dal ritmo serrato solo nelle battute conclusive. Sicuramente un must per gli appassionati di Harry Hole, anche se non il migliore della serie, è consigliabile anche ai neofiti di Nesbo, a patto di vincere una sensazione più che sgradevole: l’ago che, ad ogni pagina, si conficca ripetutamente nella vena.

Venti corpi nella neve – Giuliano Pasini

Venti corpi nella neve - Giuliano Pasini

Voto: 6,5

Titolo: Venti corpi nella neve

Autore: Giuliano Pasini

Genere: Giallo / Thriller

Editore: Timecrime, 2012

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

Case Rosse, minuscolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano, ha un primato: è la sede del commissariato più piccolo d’Italia, diretto da Roberto Serra – che viene da Roma ed è considerato uno ed fòra – con l’aiuto dell’agente Manzini. Non succede mai nulla se non qualche rissa tra ubriachi il sabato sera. Ma la notte del Capodanno del 1995 una telefonata sveglia Manzini in piena notte. Ci sono tre cadaveri al Prà grand, uccisi senza pietà. I due poliziotti accorrono sul luogo del delitto e uno spettacolo raccapricciante si presenta ai loro occhi: un uomo, una donna e una bambina sono stati colpiti a morte da distanza ravvicinata con un fucile. È un’esecuzione, senza alcun dubbio. Ma non ci sono schizzi di sangue intorno alle vittime e la loro posizione non combacia con la traiettoria degli spari. A chi appartengono questi corpi straziati che chiedono giustizia? Chi ha violato la pace di quel piccolo paese perso tra le montagne, e per quale motivo? E perché così tanta violenza da sorprendere anche un uomo come Roberto Serra, abituato a omicidi ben più efferati? Per il commissario comincerà un’indagine che lo porterà a rivivere il passato del luogo in cui si è rifugiato, e ad affrontare i demoni che albergano nella sua anima e nel suo cuore.

 

Mi sono avvicinato a Venti corpi nella neve, romanzo d’esordio di Giuliano Pasini, finalista del concorso Io Scrittore 2012, sponsorizzato dal gruppo editoriale Mauri Spagnol, grazie al consiglio di un amico. Avevo quindi delle aspettative molto alte che, devo dire, sono state in parte disilluse.

 

L’autore tratteggia con una certa maestria un paesino perso nell’Appennino tra Bologna e Modena, Case Rosse, e i suoi abitanti che guardano di sottecchi gli “stranieri”, cioè tutti quanti vengono ed fòra, come il commissario Roberto Serra, rifugiatosi lì quattro anni prima per fuggire da un passato che vorrebbe dimenticare.
La mattina di Capodanno del 1995, il tranquillo tran-tran del paesino viene scosso da un evento terribile: tre corpi vengono rinvenuti davanti alla casa di uno degli abitanti. Un’intera famiglia sterminata a colpi di fucile da distanza ravvicinata: madre, padre e la loro unica figlia. Un’indagine che sembra risolversi velocemente, ma che si scopre invece essere legata a un’altra strage, avvenuta nello stesso paese nel Capodanno del 1945. Venti corpi nella neve, un massacro di massa ad opera delle SS guidate dal Boia dell’Appennino Enrico Zanarini che, seppur cresciuto in quei luoghi, scelse di arruolarsi tra le forze nazi-fasciste.
1945-1995: cinquant’anni in cui il paese non ha dimenticato le torture e gli orrori della guerra. Il passato ritorna e chiede il conto con gli interessi, conteggiati in cinque decenni in cui è mancata la giustizia dei martiri.
Anche il commissario Serra dovrà fare i conti con il passato, sotto la forma di Alice, ex mai dimenticata, con cui si troverà suo malgrado a indagare.

 

Bello il mix tra passato e presente, ben descritte alcune scene relative alla seconda guerra mondiale, specialmente quelle relative alla strage del Prà Grand. Nel complesso è un libro ben scritto, che si fa leggere, ma privo di guizzi a livello stilisto. I personaggi odorano di “già sentito” e, pur essendo sufficientemente descritti, non generano empatia. Forse il motivo è nella precisa scelta stilistica dell’autore: più asciutto che passionale, più scandinavo/anglosassone che italiano (nonostante le ambientazioni nostrane). Alcune scelte dell’autore mi hanno lasciato perplesso: la danza, ovvero la capacità di Serra di rivivere gli ultimi istanti delle vittime, è un che di soprannaturale che, a mio parere, stona con la storia, cupa e tremendamente reale.

 

Meglio la seconda parte, dove gli eventi si susseguono con una certa suspence, piuttosto che la prima, dove francamente la storia non decolla. Il lettore arriva a leggere il collegamento tra passato e presente ben prima del commissario Serra. Il finale è piuttosto scontato, l’autore cerca di stupire il lettore senza riuscirci. Personalmente, rimango sempre deluso quando indovino il colpevole.
Rimango comunque curioso per gli altri lavori di Giulianio Pasini, che non mancherò di leggere.