Recensione de La gabbia invisibile nel blog Pensieri d’inchiostro

Nuova recensione de La gabbia invisibile, ad opera di Marta nel blog Pensieri d’inchiostro.

http://pensieridinchiostro.wordpress.com/2013/02/19/recensione-la-gabbia-invisibile/

Riporto di seguito il testo:

Siete appassionati di thriller? E amate anche divertirvi con i videogiochi? Se sì, penso proprio che il romanzo del progetto “Recensioni d’inchiostro” di cui sto per parlarvi oggi sia fatto apposta per voi!

Titolo: La gabbia invisibile

Sottotitolo: Credi davvero di essere libero?

Autore: Stefano Baldoni

Generi: thriller, SciFi, paranormale, videogiochi, realtà virtuale

Editore: Greco&Greco

Collana: Nargre Pagine: 314

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: €12,50

ISBN: 9788879806978

Formato: brossura

Valutazione: 35

Grazie all’autore per avermi spedito il libro.

RIASSUNTO – Un futuristico esperimento di realtà virtuale che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dei videogiochi si tinge di giallo in seguito alla misteriosa morte di uno dei protagonisti. Elena Paci, psicoterapeuta e moglie della vittima, non crede alle motivazioni poco credibili della polizia e delle istituzioni che cercano con tutti i mezzi di insabbiare l’accaduto. Dietro al gioco di ruolo si nasconde, infatti, un progetto delirante di manipolazione mentale, orchestrato da mani abili e influenti. Elena, in un percorso doloroso e contorto, scoprirà che in questa strana realtà parallela, fatta di elettrodi, reti neurali, computer, farmaci proibiti, codici e sogni che si confondono con la realtà, nulla è ciò che sembra essere.

L’AUTORE – Stefano Baldoni è nato a Venezia il 12 Agosto 1975 ed è laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni. Scopre la passione per la scrittura a trent’anni, e il 26 Dicembre 2006 comincia a buttare giù, su un tovagliolo, le prime righe di quello che diventerà il suo primo romanzo, La gabbia invisibile, e impiega ben tre anni e mezzo per completarlo. Ora si occupa di Marketing per una multinazionale nell’ambito dell’elettronico. Tra i suoi hobby, ama suonare il basso elettrico, giocare a calcio, leggere e ballare.

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RECENSIONE

Chi mi conosce sa che, se un libro parla di morti misteriose, assassini nell’ombra e oscuri complotti, difficilmente riesce a durarmi per più di due ore. Quando poi, come in questo caso, vengono coinvolti anche i videogiochi, è quasi impossibile che non vada tutta in solluchero alla vista di simili trame. Come speravo dopo aver letto il riassunto, per fortuna le mie speranze sono state quasi del tutto appagate. Ma ora vediamo in dettaglio cosa mi è piaciuto de La gabbia invisibile, di cosa parla e di come l’autore ha deciso di raccontarci la sua storia.

A essere sincera, in un primo momento la trama non mi ha colpita più di tanto: certo, era evidente che possedeva un ottimo potenziale (che poi è stato confermato), ma in quanto a originalità di contenuti mi aveva lasciato un po’ delusa. Mi vengono in mente, per dire, parecchi titoli di fantascienza che hanno a che fare con i videogiochi e con la realtà virtuale, e lo stesso discorso vale per l’idea della manipolazione mentale, del controllo delle persone, dei macchinatori che vogliono dominare il mondo… Detto in breve poteva andare meglio: con elementi del genere era possibile costruire un racconto sensazionale così come una ciofeca vista e rivista. Per fortuna, però, Stefano Baldoni è riuscito a strutturare la sua storia in un modo assai coinvolgente: non l’avrà reso un capolavoro, magari, ma a mio parere il risultato è un libro ugualmente godibile.

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Un aspetto che è d’obbligo all’interno di un thriller è di sicuro la suspense, la trepidazione che non ti fa staccare gli occhi dalle pagine, il brivido lungo la schiena che non ti lascia nemmeno il tempo per respirare. Da questo punto di vista, La gabbia invisibile è praticamente impeccabile: la tensione aumenta in modo esponenziale ogni volta che si scopre un nuovo indizio che fa progredire la storia; ben presto la vicenda cattura a tal punto che diventa assai difficile, se non impossibile, distinguere la verità dalla finzione, non solo per i personaggi della storia ma anche per il lettore. Insomma, a mio parere il dualismo che si viene a creare tra il mondo reale e quello virtuale, ma anche tra sonno e veglia, è l’aspetto più riuscito dell’intero romanzo, perché tra l’una e l’altra realtà il confine non è mai netto e il gioco salta continuamente ora di qua, ora di là.

Anche lo stile rende giustizia alla riuscita della trama: per tutta la durata della vicenda rimane incalzante e davvero avvincente, riesce a suscitare ansia e partecipazione fin dalla prima pagina e la conserva intatta sino alla fine. Solo una cosa, a mio parere, ha interrotto un poco la suspense: i campi di PoV. Sia chiaro, La gabbia invisibile non è uno di quei romanzi in cui il punto di vista saltella di continuo da una testa all’altra generando una confusione assurda in chi legge: niente di tutto ciò. Rimangono, tuttavia, alcuni passi nei quali, a mio parere, una migliore gestione del PoV avrebbe evitato un paio di situazioni fastidiose.

Un esempio piuttosto evidente è questo: a un certo punto un personaggio sta analizzando le registrazioni effettuate di notte da una telecamera nascosta, e la focalizzazione salta bruscamente dall’interno dei suoi pensieri a quelli del narratore onnisciente, per poi saltare di nuovo, creando una situazione del genere:

Rimase qualche secondo a fissare il monitor, che visualizzava impietosamente l’elenco delle registrazioni. Non si accorse in quel frangente, purtroppo, di un’anomalia che gli avrebbe dato la spiegazione di tutto, e che avrebbe di fatto modificato gli avvenimenti a seguire: due file facevano riferimento allo stesso giorno. […] Ma purtroppo non notò questo particolare, poco visibile ma di importanza fondamentale. Si sentiva frustrato perché convinto di dover visionare tutti i sessanta file alla ricerca di un possibile intruso […]. (pagg. 204-205)

Questo excursus del narratore, confesso, mi ha fatto alzare un sopracciglio: si è mai visto, per esempio in un telefilm poliziesco, un personaggio che sta analizzando il computer alla ricerca di una prova (che è nascosta ma c’è) e a un tratto spunta il regista con un cartello che spiega allo spettatore dove sta esattamente quella prova di cui il personaggio non si è accorto? Senza contare, tra l’altro, che il suddetto excursus è del tutto inutile, dato che lo stesso personaggio se ne accorge da sé soltanto una ventina di pagine dopo, e che la medesima spiegazione viene ripetuta tale e quale.

Realta-virtuale

In altre occasioni, accade un fatto simile: all’inizio il PoV è interno ai protagonisti, che non sospettano nulla del piano che hanno in mente i “cattivi” (così come il lettore)… e d’improvviso il punto di vista rimbalza proprio nella testa del cattivo, che ovviamente non può fare a meno di spifferare al lettore, attraverso i suoi pensieri, una parte del piano. Da una parte questo è un bene, perché permette di conoscere da dentro un po’ tutti i personaggi, ma non capisco perché l’autore abbia accettato di sacrificare la suspense, quando lui stesso aveva già trovato una tattica per esplorare i pensieri dei protagonisti senza che il cambio di PoV risultasse sconcertante e fastidioso: in alcuni punti, infatti, è stata giustamente inserita una linea di spazio (oppure tre asterischi) tra un punto di vista e l’altro, e non comprendo come mai questa scelta non sia stata fatta sempre.

L’unica cosa che non mi è piaciuta riguarda proprio i personaggi: okay, grazie ai cambi di PoV ci vengono rivelati molti dei loro pensieri; tuttavia il loro carattere non è stato, a mio parere, adeguatamente diversificato, tanto è vero che spesso ho fatto fatica a districarmi tra i vari nomi che compaiono e ad abbinarli al loro comportamento. In generale, dunque, mi sono sembrati alquanto bidimensionali e dallo spessore psicologico poco approfondito… il che non si è rivelato un punto forte, considerato quanto la storia ruoti attorno alla mente delle persone e ai suoi segreti. Ciò non vale per tutti, certo: Elena, per esempio, mi è parsa tutt’altro che poco caratterizzata. Ciononostante a mio giudizio erano più i personaggi dalla psicologia piuttosto piatta rispetto a quelli con un buon carattere.

Questo, in ogni caso, non è stato secondo il mio giudizio un difetto in grado di bocciare l’intero libro: come ho già detto, infatti, la trama risulta avvincente e lo stile cattura fin da subito, riuscendo a tenere l’attenzione sempre viva. Insomma, ve lo consiglio: trovo che purtroppo presenti alcune carenze su cui non è possibile chiudere un occhio; ciononostante si tratta sicuramente di un esordio da non lasciarsi sfuggire. Faccio, dunque, i complimenti a Stefano Baldoni: gli manca ancora qualcosa, ma ritengo sia già su un’ottima strada.