Recensioni

Si può pretendere di scrivere senza leggere? Io credo di no. La prima regola per chi vuole avventurarsi nel mondo della scrittura è essere prima di tutto un lettore vorace.

Autori diversi, generi diversi, epoche diverse. Come unico filo conduttore la fame di libri, l’odore delle pagine, il voler sapere come va a finire, la ricerca di un’emozione.

E poi, alla fine della lettura, riprendere il libro, soppesarlo, rifletterci sopra, interiorizzare un concetto, stampare nella memoria una situazione, ricordare un brivido provato leggendo quella particolare riga.

Così ho pensato di creare questa sezione del sito, dove inserirò le recensioni dei libri che ho letto e che leggerò. Mi piacerebbe che questa diventasse una sezione condivisa con voi.

Se volete inviarmi le vostre recensioni, di qualsiasi libro, sarò lieto di pubblicarle. Perché sarà comunque un segno del nostro passaggio.

Inviami la tua recensione!

La biblioteca dei morti - Glenn Cooper

 

07/04/2013

Recensione di Stefano Baldoni

La biblioteca dei morti – Glenn Cooper

 

 

 

Il libro delle anime

 

12/04/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Il libro delle anime – Glenn Cooper

 

 

 

 

Se ti abbraccio non avere paura - Fulvio Ervas

 

21/04/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Se ti abbraccio non aver paura – Fulvio Ervas

 

 

 

 

Sia fatta la tua volontà - Stefano Baldi

 

12/05/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Sia fatta la tua volontà – Stefano Baldi

 

 

 

 

L'esca - José Carlos Somoza

 

29/05/2013

Recensione di Stefano Baldoni

L’esca – José Carlos Somoza

 

 

 

 

 

Eclissi - Francesco Mastinu

 

 

13/07/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Eclissi – Francesco Mastinu

 

 

 

 

La leggenda del vento - Stephen King

 

21/07/2013

Recensione di Stefano Baldoni

La leggenda del vento – Stephen King

 

 

 

XY - Sandro Veronesi

 

08/08/2013

Recensione di Stefano Baldoni

XY – Sandro Veronesi

 

 

 

La collezionista di profumi proibiti - Kathleen Tessaro

 

21/08/2013

Recensione di Claudia Andreato

La collezionista di profumi proibiti – Kathleen Tessaro

 

 

 

Inferno - Dan Brown

 

26/08/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Inferno – Dan Brown

 

 

 

Venti corpi nella neve - Giuliano Pasini

 

03/11/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Venti corpi nella neve – Giuliano Pasini

 

 

 

Il fuoco nell'anima - Gianpiero Possieri

 

24/11/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Il fuoco nell’anima – Gianpiero Possieri

 

 

 

Tre secondi - Roslung & Hellstrom

 

30/12/2013

Recensione di Stefano Baldoni

Tre secondi – Roslund & Hellstrom

 

 

 

Il suggeritore - Donato Carrisi

 

03/05/2014

Recensione di Stefano Baldoni

Il Suggeritore – Donato Carrisi

 

 

 

Lo spettro - Jo Nesbo

 

11/05/2014

Recensione di Stefano Baldoni

Lo spettro – Jo Nesbo

Lo spettro – Jo Nesbo

Lo spettro - Jo Nesbo

Voto: 7,0

Titolo: Lo spettro

Autore: Jo Nesbo

Genere: Crime

Editore: Einaudi, 2012

Consigliato: Solo agli appassionati di Harry Hole

 

 

TRAMA ORIGINALE

Sono passati tre anni da quando Harry Hole è andato via. Via da Oslo, via dalla Centrale di polizia, via dalla donna che ha amato e ferito troppo, e troppe volte. Ma dai suoi fantasmi no, da quelli non è riuscito a fuggire: l’hanno inseguito a Hong Kong e ora lo reclamano, e Harry non può non rispondere, non può non tornare. Oleg, il figlio di Rakel, il ragazzo che lui ha cresciuto come fosse anche figlio suo, è in carcere. Accusa: l’omicidio di Gusto Hanssen, il suo migliore amico. Movente: secondo gli investigatori, un regolamento di conti nel mondo della droga. Ma Harry non ci crede. Oleg, il suo Oleg, il bambino che lo teneva per mano e lo chiamava papà, può essere diventato un tossicodipendente, ma non un assassino. E a lui non resta che correre a casa, correre contro il tempo, in cerca di una verità diversa da quella già decretata. Una verità che si nasconde tanto nelle maglie dei sentimenti piú profondi che legano le persone, quanto nei quartieri dello spaccio, con l’ombra misteriosa di un nemico inafferrabile che lo vuole morto.

Nona e (forse?) ultima avventura di Harry Hole, che stavolta l’autore scaraventa nei quartieri malfamati di una Oslo tetra e cupa. Una città che sembra essere ostaggio della droga, tra loschi figuri che ne controllano lo spaccio e tossici che si fanno alla luce del sole, senza pudore alcuno. È la droga il vero protagonista di questa storia, nel suo significato vero e figurato: l’autore stesso sembra esserne dipendente (chiaramente ai fini della trama), data la dovizia di particolari con cui ne descrive i traffici, i meandri, i mali e le dipendenze. Jo Nesbo ci vuole dare una lezione di vita: non si può lottare contro un fututo già scritto. E il messaggio arriva alla grande: raramente un finale mi aveva scosso, stupito e fatto arrabbiare come ne “Lo spettro”.

Harry torna appositamente da Hong Kong per scagionare Oleg, suo figlio adottivo, perché accusato dell’omicidio del suo amico Gusto Hanseen. Il protagonista scoprirà suo malgrado che Oleg è diventato un tossicodipendente. Sullo sfondo, la mafia russa che gestisce i traffici di eroina e violina (una nuova, potentissima droga immessa sul mercato), poliziotti corrotti che intralciano le indagini e uomini e donne accecati dalla brama di potere.

L’autore mescola abilmente le carte, portando avanti in parallelo tante piccole storie apparentemente slegate, per poi svelarne qua e là gli intrecci. Ma non tutti gli indizi porteranno realmente alla verità. Proprio questo voler tenere aperti troppi fronti risulta, forse, il vero limite di questo romanzo: il ritmo della narrazione ne risente, soprattutto nella parte centrale. Alcune scene, troppo rocambolesche, tolgono verosimiglianza alla storia e rallentano il ritmo: una su tutte, la ferita al collo di Hole.

L’autore privilegia certamente l’azione alle descrizioni psicologiche, anche se il protagonista, Harry Hole, il figlio adottivo Oleg e Rakel, sua madre e grande amore del protagonista, sono di fatto ben descritti e si prova empatia per loro. Unico neo per Rakel che, inaspettatamente, non sembra mai troppo preoccupata per la sorte del figlio.

Lo stile è efficace: essenziale, chiaro, lineare. Mi è piaciuto in particolare il modo in cui l’autore ha descritto Gusto Hanseen, amico di Oleg, che parla direttamente al lettore, da morto, per raccontare la sua storia. Ho poi apprezzato un passaggio, per profondità e capacità di sintesi, che cito testualmente:

“Il mondo reale è governato da due tipi di persone. Quelle che vogliono il potere e quelle che vogliono i soldi. Il primo vuole una statua, il secondo il piacere. E la valuta che usano quando fanno affari tra di loro per ottenere ciò che vogliono si chiama corruzione”

In sintesi, “Lo spettro” è un romanzo godibile, forse troppo lungo, dal ritmo serrato solo nelle battute conclusive. Sicuramente un must per gli appassionati di Harry Hole, anche se non il migliore della serie, è consigliabile anche ai neofiti di Nesbo, a patto di vincere una sensazione più che sgradevole: l’ago che, ad ogni pagina, si conficca ripetutamente nella vena.

Il suggeritore – Donato Carrisi

Il suggeritore - Donato CarrisiVoto: 6

Titolo: Il suggeritore

Autore: Donato Carrisi

Genere: Thriller

Editore: Longanesi, 2009

Consigliato: NO

 

TRAMA ORIGINALE

Qualcosa di sconvolgente è successo, qualcosa che richiede tutta l’abilità degli agenti della Squadra Speciale guidata dal criminologo Goran Gavila. Il loro è un nemico che sa assumere molte sembianze, che li mette costantemente alla prova in un’indagine in cui ogni male svelato porta con sé un messaggio. Ma, soprattutto, li costringe ad affacciarsi nel buio che ciascuno si porta dentro. È un gioco di incubi abilmente celati, una continua sfida. Sarà con l’arrivo di Mila Vasquez, un’investigatrice specializzata nella caccia alle persone scomparse, che gli inganni sembreranno cadere uno dopo l’altro, grazie anche al legame speciale che comincia a formarsi fra lei e il dottor Gavila. Ma un disegno oscuro è in atto, e ogni volta che la Squadra sembra riuscire a dare un nome al male, ne scopre un altro ancora più profondo.

Premio Bancarella nel 2009, Il suggeritore è il romanzo d’esordio dell’autore pugliese Donato Carrisi. Ne avevo sentito parlare parecchio ed avevo alte aspettative. Purtroppo devo dire che non consiglierei questo libro a nessuno. Perché? Perché scritto male? O perché la trama è banale o sviluppata male? Oppure perché i personaggi sono piatti e sterotipati? No, no, no e ancora no. Si tratta di un romanzo ben scritto e sviluppato in maniera tutt’altro che banale ma, ciononostante, non lo consiglierei. Andiamo con ordine.

All’inizio il ritmo della narrazione è piuttosto basso, almeno fino al ritrovamento del cimitero di braccia, poi subisce un’impennata, anche grazie al susseguirsi degli eventi. Nel complesso il romanzo è scorrevole, il pathos è sempre piuttosto alto e non mi ha mai annoiato. Personalmente non ho condiviso la scelta dell’ambientazione in un luogo non specificato e meno che meno la scelta di affidarsi ad una medium per dare una svolta decisiva alle indagini. Trovo che stoni decisamente con il taglio del romanzo, che per certi versi mi ha ricordato alcuni autori americani per stile e dettagli tecnici (che ho molto apprezzato, si vede che l’autore ha studiato criminologia). I personaggi principali sono ben descritti, con il giusto livello di approfondimento psicologico, sufficiente a creare empatia, e verosimili.

Pur non volendo fare spoiler sulla trama e sui numerosi colpi di scena, devo dire che un paio di passaggi sono piuttosto azzardati: come faceva il serial killer a sapere che proprio l’agente Mila Vasquez sarebbe stata chiamata ad aiutare la squadra speciale? Come ha fatto ad organizzare il suo disegno molti mesi prima non potendo sapere che si sarebbero poi incontrati? Anche se mi ha fatto un po’ storcere il naso, non sono certo questi dettagli che mi spingono a non voler consigliare la lettura di questo romanzo.

Mi è piaciuta l’idea che un delitto ne nascondesse un altro, che ad un male ne seguissero altri. Analizzando questo aspetto solo dal punto di vista della trama, devo riconoscere che la arricchisce e rende il thriller incalzante. Ma, a mio modo di vedere, l’autore ha portato il livello troppo oltre. Troppo l’orrore, troppo efferati i delitti che si scoprono via via. Alla fine ne sono risultato emotivamente stremato. Alcuni delitti, che sono descritti con maestria, mi hanno fatto male al cuore. La trama può stare in piedi anche su un unico delitto, mentre qui dobbiamo fare i conti con bambine uccise e con molti altri delitti, alcuni anche difficilmente concepibili per efferatezza e crudeltà.

È questo il motivo per cui non mi sento di consigliarlo: è un romanzo che fa male all’anima, perché esaspera fino al parossismo il fascino del male.

 

 

Tre secondi – Roslund & Hellstrom

Tre secondi - Roslung & HellstromVoto: 8,0

Titolo: Tre secondi

Autori: Anders Roslung & Borge Hellstrom

Genere: Thriller

Editore: Einaudi, 2010

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE

Piet Hoffman, nome in codice Paula, è da anni un infiltrato per conto della polizia svedese. Ma Piet è anche un uomo qualunque, che ama sua moglie e accompagna a scuola i due bambini. Per stroncare il  traffico di stupefacenti di una mafia dell’Est, è costretto a entrare da criminale in un carcere di massima sicurezza. Ma qualcosa va storto.

A Piet, assolutamente solo, braccato a ogni passo, sembra non essere rimasta scelta. Se vuole proteggere la sua famiglia, deve diventare criminale in tutto e per tutto. Intorno a lui si muovono Ewert Grems, vecchio commissario cocciuto di Stoccolma,  poliziotti che si addestrano in America, killer senza frontiera, gangster polacchi all’assalto dell’Occidente, politici spaventati che non esitano di fronte al crimine. Il lato più oscuro della società alza un muro impenetrabile, davanti a un uomo solo, alla sua paura.

Ci sono volte in cui scegliere il libro dalla copertina porta a grandi delusioni. Non è stato il caso di Tre secondi, thriller della strana coppia svedese formata da Anders Roslung & Borge Hellstrom. Giornalista il primo, ex detenuto il secondo, sono ormai considerati tra i migliori scrittori di crime svedesi. Non a torto.

Tre secondi è il tempo tra un ordine e l’arrivo a bersaglio di un proiettile, sparato da un fucile di precisione da una distanza di oltre cinquecento metri. Ma è anche il tempo a disposizione di un detenuto, Piet Hoffman, per salvarsi la vita. Il protagonista, nome in codice Paula, ex delinquente e infiltrato della polizia svedese, dopo essersi guadagnato la fiducia di una organizzazione criminale polacca che opera nel traffico di droga, fa in modo di finire in galera come detenuto per ottenere informazioni sul traffico di stupefacenti nelle carceri svedesi. Una volta dentro, riuscendo a introdurre droga nel penitenziario di massima sicurezza dove è rinchiuso, in breve diventa il miglior pusher della struttura, ma alcuni detenuti vengono a conoscenza del suo doppio gioco. La polizia gli volta le spalle, non riconoscendo il suo ruolo di infiltrato. Si ritrova solo, senza amici e senza copertura, con il carcere a vita come unica alternativa alla morte. Ma potranno tre secondi cambiare il destino di un uomo?

Oltre a un thriller incalzante, un romanzo sociale: dai “guasti” del sistema carcerario svedese, all’uso e abuso di criminali veri come collaboratori di giustizia. Quello che potrebbe sembrare un ossimoro, è spiegato dagli autori stessi in una nota in fondo al testo: “Da molto tempo la polizia utilizza i criminali come talpe e informatori…”, “…la polizia non si fa scrupolo di manipolare registri e verbali. La falsificazione di dati e informazioni essenziali, dunque, è diventata un metodo di lavoro”.

Gli autori sono riusciti a inserire nell’intreccio della trama un’enorme quantità di informazioni sulla vita carceraria e sul sistema penitenziario svedese senza eccedere nel nozionismo. In questo sta, a mio parere, il loro più grande merito: essere riusciti, attraverso un thriller, a raccontare una realtà scomoda a un pubblico esteso. Risultato ben più difficile da ottenere se gli autori avessero optato per un saggio.

Non sono un esperto di letteratura scandinava, ma ne riconosco lo stile asciutto, veloce e senza fronzoli, quasi privo di digressioni psicologiche sui personaggi. Il che sarebbe sicuramente un difetto se la trama non fosse così avvincente. Non è stato necessario provare empatia per Piet per aver voglia di leggere una pagina in più, ero preso dalla scoperta di una realtà, quella carceraria, che non conoscevo per niente.

La descrizione dei tre secondi, punto del romanzo in cui la tensione sale al massimo, esalta le capacità descrittive degli autori. Raramente ho vissuto scene così vivide durante la lettura di un libro. Poco importa che il finale sia, se non proprio scontato, almeno prevedibile: non avrebbe potuto finire diversamente.

Non riesco a trovare grossi difetti in questo romanzo. È vero che i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi non sono mai molto approfonditi, ma posso dire che me l’aspettavo da un thriller scandinavo?

 

 

Il fuoco nell’anima – Gianpiero Possieri

Il fuoco nell'anima - Gianpiero PossieriVoto: 7,0

Titolo: Il fuoco nell’anima

Autore: Gianpiero Possieri

Genere: Giallo / Thriller

Editore: Sogno Edizioni, 2011

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE

«Io credo che a volte succedano cose delle quali non abbiamo il controllo. Situazioni imprevedibili che attraversano la nostra esistenza. Quando capitano, siamo portati a compiere delle scelte. Siamo noi quindi, con le nostre decisioni, più o meno inconsce, a essere artefici del nostro destino. E credo anche che la scelta più insignificante sia in grado di influenzare tutta la nostra vita, nel bene e nel male. Può farci prendere strade che mai avremmo immaginato. Può essere una linea di confine fra la fortuna e la sfortuna, fra la vita e la morte».  Carlo, brillante studente e appassionato di criminologia, sognava di diventare un grande scrittore e di conquistare Chiara, sua compagna di classe. Manuel, invece, era animato da una forte passione per il giornalismo. Passano gli anni, Manuel diventa un cronista d’assalto senza scrupoli, Carlo un insegnante di italiano, che nel tempo libero collabora come criminologo per la polizia locale. Un macabro ritrovamento, identico a un altro avvenuto dieci anni prima, cambia per sempre le loro esistenze.  Oggi Carlo trascina la propria vita fra alcool e psicofarmaci, in uno sperduto paese di montagna, passando le giornate di fronte a una grande tela bianca. Ma un giorno Manuel torna a bussare alla sua porta, spettro di un passato che crede sepolto e che lo costringerà a fare i conti col suo destino.

Gianpiero Possieri, l’autore di questo bel romanzo, non c’è più. Una brutta malattia se l’è portato via lo scorso 11 Gennaio. Aveva la mia età. Ci eravamo conosciuti virtualmente in un forum che promuove l’editoria sana, il Writer’s Dream, casa e rifugio per autori esordienti e aspiranti tali. Non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma gli sono grato per i consigli che ha saputo dare a tanti che, come me e come lui, cercano di farsi strada nel difficile mondo delle Case Editrici. Avevo acquistato il suo secondo romanzo, Il fuoco nell’anima, al Pisa Book festival nel 2011, incuriosito dalle tante recensioni positive che aveva ottenuto. Oggi, per caso, ho ripreso in mano questo libro, e mi sono chiesto per buoni dieci minuti se avesse senso scriverne la recensione ora, che sono passati un paio d’anni dalla lettura. E mi sono risposto che sì, un senso ce l’ha e ce l’avrà sempre, perché un libro è un modo per lasciare un segno del nostro passaggio, e scriverne la recensione mi ricorderà che Gianpiero ha comunque toccato anche la mia vita.

La vicenda si svolge in un ventennio, dal 1988 al 2008 e si sviluppa in tre piani temporali distinti. I due protagonisti, Carlo, che sogna di diventare un scrittore di thriller e Manuel, che sogna di diventare un cronista d’assalto, sono amici dai tempi della scuola nel ’88. In questi vent’anni le loro vite si intrecciano e si separano, a causa principalmente dell’arrivismo di Manuel. Suo fratello, Samuel, lavora nella polizia locale e li coinvolgerà in un evento misterioso accaduto nella loro scuola. Evento che si ripeterà poi nel ’98, portando a un tragico epilogo per Carlo. I due protagonisti si ritroveranno infine nel 2008, e vincendo i vecchi dissapori e le reciproche accuse, si metteranno sulle tracce del responsabile dello sconvolgimento delle loro vite, il misterioso Michele.

Devo dire di aver fatto un po’ di fatica all’inizio, per due diversi motivi: la storia non decollava, e i tre piani temporali mi sono risultati un po’ ostici. In alcuni punti ho fatto fatica a distinguere i personaggi e collocarli nel corretto periodo temporale. Dopo circa una cinquantina di pagine, invece, la lettura è stata molto più fluida e coinvolgente. L’intreccio nel complesso funziona, mantiene la suspence e non c’è nulla di banale o scontato. Un paio di appunti: la vendetta di Michele risulta un po’ esagerata, e la scena del ritrovamento in galleria è sì giustamente drammatica, ma forse poco dettagliata.

Molte le chiavi di lettura. Bello il messaggio portato dai due protagonisti: la vita può dividere, ma un’amicizia vera non ha fretta, sa aspettare e resistere e, alla fine, vincere su tutto. Un altro bel messaggio è quello legato a Carlo: non si può fuggire da se stessi. Arriva un momento nella vita, per quanto lo si possa procastinare, in cui si dovrà lottare contro i propri fantasmi. E c’è sempre una seconda possibilità.

Buona l’alternanza tra momenti di riflessione e azioni. Buono anche il mix tra azioni e dialoghi. L’autore riesce a disegnare le scene in maniera chiara senza eccedere nelle descrizioni. Buona anche le chiusure dei capitoli: tengono vivo l’interesse e la voglia di leggere la pagina successiva.
Forse lo stile, soprattutto nei dialoghi, risulta in alcuni punti un po’ troppo “corretto”, poco adatto forse ad un thriller. Sono convinto sia stata una precisa scelta stilistica, ma la concitazione di alcune scene avrebbe forse richiesto un linguaggio un po’ più spinto, anche scurrile in alcuni punti.
Qualche volta i dialoghi mi sono sembrati un po’ affettati e fini a se stessi, soprattutto quando è Carlo a parlare. Anche se, a onor del vero, fa parte del suo personaggio l’essere logorroico.

Carlo è certamente ben descritto e delineato, e risulta decisamente il personaggio principale. Non si riesce a provare simpatia per Manuel che, seppur indirettamente, è la causa della morte della moglie di Carlo. Forse volutamente l’autore non ne ha approfondito carattere e psicologia, ma così ìl lettore non riesce a perdonare il suo arrivismo. La psicologia di Michele avrebbe invece meritato un approfondimento: non facendolo, il lettore dà una spiegazione puramente razionale alla sua vendetta. E, in quest’ottica, risulta poco credibile o quantomeno fortemente esagerata.

Nel complesso è un bel thriller e il finale chiude perfettamente il cerchio. Mi spiace non potermi aspettare un’altra opera di questo autore. Mi spiace un sacco. Gianpiero aveva un nick name nel forum dove l’ho conosciuto e dove sarà per sempre una celebrità, ed è con quel nome che vorrei salutarlo: ciao Jack.

Venti corpi nella neve – Giuliano Pasini

Venti corpi nella neve - Giuliano Pasini

Voto: 6,5

Titolo: Venti corpi nella neve

Autore: Giuliano Pasini

Genere: Giallo / Thriller

Editore: Timecrime, 2012

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

Case Rosse, minuscolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano, ha un primato: è la sede del commissariato più piccolo d’Italia, diretto da Roberto Serra – che viene da Roma ed è considerato uno ed fòra – con l’aiuto dell’agente Manzini. Non succede mai nulla se non qualche rissa tra ubriachi il sabato sera. Ma la notte del Capodanno del 1995 una telefonata sveglia Manzini in piena notte. Ci sono tre cadaveri al Prà grand, uccisi senza pietà. I due poliziotti accorrono sul luogo del delitto e uno spettacolo raccapricciante si presenta ai loro occhi: un uomo, una donna e una bambina sono stati colpiti a morte da distanza ravvicinata con un fucile. È un’esecuzione, senza alcun dubbio. Ma non ci sono schizzi di sangue intorno alle vittime e la loro posizione non combacia con la traiettoria degli spari. A chi appartengono questi corpi straziati che chiedono giustizia? Chi ha violato la pace di quel piccolo paese perso tra le montagne, e per quale motivo? E perché così tanta violenza da sorprendere anche un uomo come Roberto Serra, abituato a omicidi ben più efferati? Per il commissario comincerà un’indagine che lo porterà a rivivere il passato del luogo in cui si è rifugiato, e ad affrontare i demoni che albergano nella sua anima e nel suo cuore.

 

Mi sono avvicinato a Venti corpi nella neve, romanzo d’esordio di Giuliano Pasini, finalista del concorso Io Scrittore 2012, sponsorizzato dal gruppo editoriale Mauri Spagnol, grazie al consiglio di un amico. Avevo quindi delle aspettative molto alte che, devo dire, sono state in parte disilluse.

 

L’autore tratteggia con una certa maestria un paesino perso nell’Appennino tra Bologna e Modena, Case Rosse, e i suoi abitanti che guardano di sottecchi gli “stranieri”, cioè tutti quanti vengono ed fòra, come il commissario Roberto Serra, rifugiatosi lì quattro anni prima per fuggire da un passato che vorrebbe dimenticare.
La mattina di Capodanno del 1995, il tranquillo tran-tran del paesino viene scosso da un evento terribile: tre corpi vengono rinvenuti davanti alla casa di uno degli abitanti. Un’intera famiglia sterminata a colpi di fucile da distanza ravvicinata: madre, padre e la loro unica figlia. Un’indagine che sembra risolversi velocemente, ma che si scopre invece essere legata a un’altra strage, avvenuta nello stesso paese nel Capodanno del 1945. Venti corpi nella neve, un massacro di massa ad opera delle SS guidate dal Boia dell’Appennino Enrico Zanarini che, seppur cresciuto in quei luoghi, scelse di arruolarsi tra le forze nazi-fasciste.
1945-1995: cinquant’anni in cui il paese non ha dimenticato le torture e gli orrori della guerra. Il passato ritorna e chiede il conto con gli interessi, conteggiati in cinque decenni in cui è mancata la giustizia dei martiri.
Anche il commissario Serra dovrà fare i conti con il passato, sotto la forma di Alice, ex mai dimenticata, con cui si troverà suo malgrado a indagare.

 

Bello il mix tra passato e presente, ben descritte alcune scene relative alla seconda guerra mondiale, specialmente quelle relative alla strage del Prà Grand. Nel complesso è un libro ben scritto, che si fa leggere, ma privo di guizzi a livello stilisto. I personaggi odorano di “già sentito” e, pur essendo sufficientemente descritti, non generano empatia. Forse il motivo è nella precisa scelta stilistica dell’autore: più asciutto che passionale, più scandinavo/anglosassone che italiano (nonostante le ambientazioni nostrane). Alcune scelte dell’autore mi hanno lasciato perplesso: la danza, ovvero la capacità di Serra di rivivere gli ultimi istanti delle vittime, è un che di soprannaturale che, a mio parere, stona con la storia, cupa e tremendamente reale.

 

Meglio la seconda parte, dove gli eventi si susseguono con una certa suspence, piuttosto che la prima, dove francamente la storia non decolla. Il lettore arriva a leggere il collegamento tra passato e presente ben prima del commissario Serra. Il finale è piuttosto scontato, l’autore cerca di stupire il lettore senza riuscirci. Personalmente, rimango sempre deluso quando indovino il colpevole.
Rimango comunque curioso per gli altri lavori di Giulianio Pasini, che non mancherò di leggere.

 

Inferno – Dan Brown

Inferno - Dan Brown

 

Voto: 7,5

Titolo: Inferno

Autore: Dan Brown

Genere: Thriller

Editore: Mondadori, 2013

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

Il profilo inconfondibile di Dante che ci guarda dalla copertina è il motore mobile di un thriller che di “infernale” ha molto. Il ritmo, prima di tutto, e poi il simbolismo acceso, e infine la complessità dei personaggi che conducono a un esito raro per i romanzi d’azione: instillare nel lettore il fascino del male, addirittura la sua salvifica necessità.

Non è affatto sorprendente che lo studioso di simbologia Robert Langdon sia un esperto di Dante, anzi. È naturale che al poeta fiorentino e alla visionarietà con cui tradusse in forme solenni e oscure la temperie della sua epoca tormentata il professore americano abbia dedicato studi e corsi universitari ad Harvard. È quindi normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori.

Ma ora è tutto diverso, non c’è niente di normale, nulla che possa rievocare una dolce abitudine. Questa volta è un incubo e la sua conoscenza della città fin nei labirinti delle stradine, dei corridoi dei palazzi, dei passaggi segreti può aiutarlo a salvarsi la vita.
Il Robert Langdon che si sveglia in una stanza d’ospedale, stordito, sedato, ferito alla testa, gli abiti insanguinati su una sedia, ricorda infatti a stento il proprio nome, non capisce come sia arrivato a Firenze, chi abbia tentato di
ucciderlo e perché i suoi inseguitori non sembrino affatto intenzionati a mollare il colpo. Barcollante, la mente invasa da apparizioni mostruose che ricordano la Morte Nera che flagellò l’Europa medievale e simboli criptici connessi alla prima cantica del Divino poema, le labbra capaci di articolare, nel delirio dell’anestetico, soltanto un incongruo “very sorry”, il professore deve scappare. E, aiutato solo dalla giovane dottoressa Sienna Brooks, soccorrevole, ma misteriosa come troppe persone e cose intorno a lui, deve scappare da tutti.

Comincia una caccia all’uomo in cui schieramenti avversi si potrebbero ritrovare dalla stessa parte, in cui niente è quel che sembra: un’organizzazione chiamata Consortium è ambigua tanto quanto un movimento detto Transumanesimo e uno scienziato come Bertrand Zobrist può elaborare teorie che oscillano tra utopia e aberrazione.

Alla fine di un’avventura che raggiunge momenti di insostenibile tensione, Dan Brown ci rivela come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possono essere questione di punti di vista e anche da una laguna a cielo coperto si possa uscire a riveder le stelle.

 

Ecco il nuovo thriller di Dan Brown, pronto per il grande schermo. Cominciamo con il dire che l’autore del Codice da Vinci colleziona un successo dietro l’altro, e Inferno non farà eccezione. C’è da scommettere sulla trasposizione cinematografica del romanzo e sui sicuri incassi al botteghino. Dopo Leonardo da Vinci, Dante Alighieri: l’autore sembra aver capito che per attirare i lettori con romanzi a sfondo storico-culturale, non c’è niente di meglio che attingere a piene mani dal pur tanto vituperato Bel Paese. Di questo, senza alcuna speculazione e polemica, dobbiamo essere grati a Dan Brown: aver reso ancora più popolari, grazie alla diffusione capillare dei suoi libri, le nostre città d’arte e le opere dei nostri immortali artisti.

Essendo ambientato principalmente a Firenze e a Venezia, è normale che il lettore italico medio lo abbia passato al setaccio con occhio critico e severo, com’è giusto che sia, in cerca di errori e strafalcioni. Da questo punto di vista, a torto o a ragione, il romanzo è stato più volte stroncato: descrizioni da guida turistica, conoscenze eno-gastronomiche approssimative, ricostruzioni storiche inesatte e/o incomplete. Da veneziano, posso dire che è molto difficile che l’odore delle “seppie al nero”, citando testualmente, camminando per calli e campielli possa sovrastare l’odore di salmastro, a meno di non stazionare davanti a un ristorante che le abbia nel menu. Ma è un dettaglio insignificante. Verrebbe da chiedersi poi, a parziale discolpa dell’autore, cosa potrebbe pensare un Newyorkese della descrizione della sua città, da parte di un autore straniero che ne tratteggia tratti, luoghi, usi e costumi avendola magari visitata solo un paio di volte.

A mio modo di vedere, non sono però questi i territori su cui si deve giudicare il romanzo di Dan Brown. E l’autore non può nemmeno essere messo in croce per gli ammiccamenti alla teorie Malthusiane sulla sovrappopolazione, anche se, sembra, siano già state ampiamente confutate. Sulle suddette teorie, e sul transumanesimo, si fonda il messaggio finale del romanzo, e il finale aperto vorrebbe invitare il lettore a interrogarsi sul futuro dell’umanità, il cui sviluppo (sembra) essere limitato dalla nostra stessa prolificità. Che si sia d’accordo oppure no, sta di fatto che l’argomento ha un certo fascino. Fascino che, c’è da riconoscere, permea tutta la trama.

Il protagonista è nuovamente Robert Langdon, il professore si simbologia di Harvard, già protagonista de Il codice da Vinci. Inferno ruota intorno alla Divina Commedia di Dante Alighieri e la peste nera, che ha flagellato l’Europa nel Medioevo. Un uomo si suicida gettandosi dal campanile della Badia, a Firenze, lanciando un sinistro ultimo messaggio in cui chiede al mondo di ricordarlo come un salvatore e non come un mostro. Pochi giorni dopo, Robert Langdon si sveglia in un ospedale di Firenze, con una ferita da arma da fuoco alla testa e un’amnesia che ha cancellato i ricordi degli ultimi due giorni. Ha delle strane e ricorrenti visioni, non sa perché si trova lì e qualcuno lo vuole morto. Riesce a fuggire grazie alla dottoressa Sienna Brooks, donna affascinante e misteriosa che sembra nascondere qualcosa. Langdon scopre di avere, nel risvolto della fodera della giacca, una strana capsula con il simbolo di rischio biologico stampato sopra. Al suo interno, un futuristico proiettore con un’immagine modificata de La mappa dell’inferno di Botticelli. Langdon e Sienna devono scappare, perché braccati dal governo USA, dalla polizia italiana e da una misteriosa setta, il Consortium. Tutto sembra far pensare che il mondo sia minacciato da una nuova pandemia, un virus sviluppato da uno scienziato, Bertrand Zobrist, che ha perso la ragione, che vuole emulare Dante, disseminando qua e là indizi che portano sempre a qualcosa che ha a che fare con la Divina Commedia. I due protagonisti passano attraverso le meraviglie di Firenze alla ricerca di indizi, guidata dallo strano messagio “CERCATROVA”, ricorrente anche nelle visioni di Langdon. Da Firenze, gli indizi portano poi a Venezia e al doge Enrico Dandolo, e infine a Istanbul, dove ci sarà il (triste?) epilogo della vicenda. Sullo sfondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che sembra seguire da vicino i protagonisti, chiaramente preoccupata per le sorti dell’umanità.

Inferno è un romanzo avvincente, che tiene il lettore incollato alle pagine, ma siamo lontani dalla tensione narrativa de Il Codice da Vinci. E per più di un motivo. Prima di tutto, le digressioni storico-artistiche: non entro nel merito della loro veridicità, ma è innegabile che rompano il ritmo della narrazione. In alcuni punti poi sono più che improbabili: come può un fuggiasco fermarsi a pensare alla storia di un quadro o di un ponte nel bel mezzo di un inseguimento? E poi l’espediente narrativo: la Divina Commedia. Diversamente dal Codice da Vinci, dove la Storia è parte integrante dell’intreccio, in Inferno è un puro espediente al servizio della trama. Di per sè non sarebbe un male, ma il continuo riferimento è, nello scorrere della vicenda, sempre più slegato dall’intreccio degli eventi e alla lunga stanca. La trama è avvincente e l’argomento, il rischio di una pandemia a livello mondiale e la consueta lotta contro il tempo, tengono alto il livello della tensione, ma alcuni enigmi sembrano molto semplici e si protraggono per troppe pagine. “CERCATROVA” come anagramma di “CATROVACER”, ad esempio, non meritava certo tutta quella spremitura di meningi (a meno che la parola non comparisse in italiano anche nella versione inglese…) da parte dei protagonisti.

La struttura è quella consolidata dell’autore: risolvere gli enigmi spetta sempre all’uomo, Robert Langdon, mentre la donna, Sienna Brooks è sempre subordinata. Nonostante in questo caso la coprotagonista possa vantare un QI ben superiore alla media, non riesce a incidere nelle decisioni importanti, cadendo in tutti i tranelli che i cattivi preparano per loro. Devo dire che questo maschilismo strutturale mi ha un po’ irritato, anche se nemmeno Langdon ne esce poi benissimo, dimostrando poca furbizia in più di un’occasione. Ma almeno aveva la scusante della perdita di memoria che, si scoprirà poi, ha influito anche nelle sue capacità intellettive.

Lo stile è quello consolidato di molti thriller made in USA: taglio cinematografico, azione e suspence, dialoghi alla continua ricerca della battuta a effetto, stile piuttosto lineare e privo di “picchi” e, soprattutto, scarsa caratterizzazione dei personaggi. È il terzo libro che leggo con protagonista Robert Langdon, e ancora non so quasi niente di lui, della sua vita e dei suoi gusti. I personaggi sono poco più che burattini al servizio della trama.

In sintesi, Inferno è un bel thriller. L’argomento è accattivante e ben sviluppato nell’intreccio narrativo, gli indizi vengono dosati con maestria e il livello di tensione raggiunge l’apice in più punti. Dan Brown fa ancora centro e le continue critiche non fanno altro che confermare che le sue storie, volenti o nolenti, sono sulla bocca di tutti.

 

 

La collezionista di profumi proibiti – Kathleen Tessaro

Recensione di Claudia Andreato

La collezionista di profumi proibiti - Kathleen Tessaro

 

 

Titolo: La collezionista di profumi proibiti

Autore: Kathleen Tessaro

Editore: Newton Compton, 2013

 

 

TRAMA ORIGINALE

Londra, anni ’50. Grace Munroe è una ragazza della buona società londinese troppo curiosa e irrequieta per adattarsi al ruolo di moglie docile e accondiscendente. Sposata con un uomo ambizioso che aspira alla carriera politica, trascorre le sue giornate tra serate di gala e pranzi di rappresentanza.
Fino al giorno in cui riceve una lettera da uno studio legale parigino, che la informa di essere stata nominata beneficiaria di un’inaspettata eredità e che dovrà presentarsi personalmente a Parigi a prenderne possesso.
Grace non esita a partire e, arrivata nella romantica ville lumière, viene a sapere che la sua benefattrice era una certa Eva d’Orsey, una ricca signora francese che, però, lei non ha mai conosciuto… Solo quando si imbatterà in un negozietto di profumi sulla Rive Gauche, sopravvissuto alla guerra ma chiuso da tempo, Grace scoprirà la misteriosa storia di Madame d’Orsey, una donna straordinaria che aveva letteralmente stregato l’alta società di New York e Parigi negli anni ’20. Un viaggio seducente e irresistibile nel passato, dalla New York del jazz ai casinò di Monte Carlo, tra tradimenti, amori e vendette, sulla romantica scia di un intenso, inebriante profumo.

Nello scegliere un libro, non mi fermo mai alla quarta di copertina, ai commenti – talvolta anche prestigiosi – o alle recensioni che leggo da quotidiani, riviste di settore o che sento in giro. No! Non mi basta. Cerco qualcosa in più.

Il titolo ad esempio. Il titolo deve saper evocare, rimandare ad una dimensione poetica, ispirare. Ecco, il titolo mi deve ispirare. E poi l’immagine di copertina: il soggetto, l’accostamento cromatico, lo sfondo. Alcune copertine sono opere d’arte, che colpiscono la sfera ‘irrazionale’ dell’osservatore.

Non importa se con questi criteri di scelta, così poco ‘professionali’ e così tanto infantili – forse superficiali -, mi avventuro nella lettura di un libro diverso da come l’immaginavo: è un rischio che mi piace correre.

Mi passa tra le mani La collezionista di profumi proibiti. In copertina una donna di spalle veste un’ampia gonna con balze sottostanti, rifinite di merletti stile Ottocento, forse. No, la copertina non fa per me, ma il titolo… Il titolo sì. C’è la parola profumo. Adoro il profumo, indossarlo, sentirmi accarezzata dalla sua fragranza. È qualcosa che si fonde con me, che talvolta esalta la mia personalità, talvolta la nasconde. Mi piace annusare il profumo degli altri, osservare come lo indossano, fermarmi a sentire il profumo dei luoghi, dell’aria in una sera d’estate o della notte. Insomma, questo è il libro per me!

Non avendo neanche letto la quarta di copertina,  mi avvicino alle prime pagine senza avere idea della storia. La struttura narrativa si presenta duplice: da un lato un racconto ambientato a Parigi con protagonista madame d’Orsey; dall’altro Grace Munroe, moglie di un arrivista ed egoista uomo politico, si accinge a partecipare con un’amica ad uno dei memorabili party della Londra anni ’50.

Se dalle prime pagine il libro mi sembra il classico romanzo un po’ frivolo di cui non ho voglia in questo momento – me ne è già bastato uno di recente -, tanto che sono pronta ad abbandonarlo, leggendo finalmente la quarta di copertina mi rendo conto che succederà qualcosa di inaspettato a sconvolgere la vita di Grace. Bastava solo un po’ di pazienza nella lettura ed ecco che, proprio quando Grace si sta preparando per la festa, riceve una lettera da un avvocato parigino, che la informa di essere l’unica beneficiaria dell’eredità di Eva d’Orsey. Per Grace si tratta di una donna sconosciuta; per il lettore invece è la donna che osservava Parigi in una mattina d’inverno dalla finestra del suo appartamento: una donna inquieta, con un grande dolore, impegnata ad organizzare qualcosa, tra cui un viaggio; una donna per la quale l’unico anestetico era l’alcool.

Angosciata da una triste scoperta relativa alla vita del marito, Grace decide di abbandonare Londra e l’ottuso perbenismo dell’alta borghesia cui appartiene dal momento del matrimonio, per raggiungere lo studio legale di Parigi e gettar luce così sull’eredità ricevuta dalla sconosciuta Eva d’Orsey.

È a questo punto che il lettore viene proiettato nella New York degli anni ’20 e ritrova una ragazzina orfana, Eva d’Orsey, che si appresta a lavorare in uno degli hotel più lussuosi della città. Qui Eva incontra persone provenienti da tutto il mondo, tra cui un’affascinante donna parigina che col suo assistente crea profumi.

Il tempo del romanzo si sdoppia quindi, alternando le vicende della giovane Eva d’Orsey a quelle di Grace, che tenta in tutti i modi di scoprire la verità, proiettandosi nel mondo del profumo, oltre che nella vita e negli spazi di madame d’Orsey.

Credo che uno dei passi del romanzo che, più di qualunque altro, illustra il senso di un profumo, sia dato dalle parole di un profumiere parigino cui Grace si rivolge per saperne di più su una formula misteriosa ritrovata in un negozio ormai abbandonato, in cui aveva lavorato tempo prima anche madame d’Orsey:

Vede, niente è più immediato, più completo del senso dell’olfatto. In un attimo, ha il potere di trasportarci. Il nostro olfatto si collega non al ricordo in sé, ma all’emozione che abbiamo provato in quel momento. Ricreare un ricordo olfattivo è una delle sfide più impegnative e suggestive possibili. È poesia nella sua formula più immediata’ (p. 165).

Sarà proprio la vecchia titolare di quel negozio a chiarire a Grace molti dettagli a lei sconosciuti e ad aiutarla a capire chi fosse madame d’Orsey e quali legami avessero. Soltanto una volta scoperta la verità, Grace capirà l’importanza del testamento e della volontà di madame d’Orsey di renderla economicamente indipendente, per concederle il diritto di scegliere.

Un romanzo che, muovendosi tra le fragranze di un profumo, tratteggia, senza alcun pregiudizio, personalità femminili alquanto affascinanti e moderne.

XY – Sandro Veronesi

XY - Sandro Veronesi

Voto: 8,0

Titolo: XY

Autore: Sandro Veronesi

Genere: Thriller Narrativa contemporanea

Editore: Fandango, 2010

Consigliato: SI

 

 

TRAMA ORIGINALE

L’ho detto ai carabinieri, l’ho detto al Procuratore, l’ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto “cosa avete visto?”: l’albero, abbiamo visto, l’albero ghiacciato. E stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco – e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, è rimasto l’unica cosa intera che abbiamo visto. L’albero. Era lì, al suo posto, all’imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca – ma era rosso. Era rosso, sì, come se Beppe Formento, nell’atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. In quel bianco fatale era l’unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava – non esagero – acceso, pulsante di quell’intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. Sogno quella trasparenza rossa, sì, ancora oggi, e la sogno senza più l’albero, ormai, senza nemmeno più la forma dell’albero: sogno quel colore e nient’altro. Un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un’immensa caramella Charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perché è ciò che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. Cosa avete visto? Abbiamo visto l’albero ghiacciato intriso di sangue.

 

Devo essere impazzito per aver deciso di leggere e recensire questo libro. Qualsiasi pensiero strutturato può trovare la sua perfetta antitesi in questo romanzo che, com’era evidentemente nelle intenzioni dell’autore, spiazza e conferma, innervosisce e tranquillizza, accarezza e schiaffeggia. Il tutto in un caleidoscopio ipnotico in cui il lettore, assuefatto dalla lettura, non può far altro che continuare a leggere, sperando che prima o poi il gioco diabolico di Veronesi finisca. Ma l’autore sembra, con sadismo crudele, voler tenere fino all’ultima riga, e oltre, ben saldi i fili che legano il malcapitato lettore al libro.

La copertina è un capolavoro, la quarta un’esca irresistibile: per chi è alla ricerca di un thriller con i controfiocchi sembra un volume da non lasciarsi scappare. E poi la qualità della carta… insomma, complimenti alla Fandango per la confezione. La polpetta avvelenata è servita, e va giù in un solo boccone, tanto è appetitosa. Perché XY non è un thriller. Ebbene, allora cos’è? Il mio forma mentis mi porterebbe a dover catalogare ogni cosa, ma in questo caso ho rinunciato. XY non è un thriller, è e basta.

Borgo San Giuda è un minuscolo paese nel Trentino, a cui si arriva da una sola strada. Settantaquattro case in tutto, un negozio di generi alimentari, un bar, l’immancabile chiesa e nient’altro. La slitta di Beppe Formento, che porta i turisti in visita al borgo, una mattina ritorna stranamente vuota. Il parroco del paese, Don Ermete, si reca nel bosco vicino, lungo il tragitto che i cavalli della slitta conoscono a memoria, e ciò che si trova davanti è la scena più agghiacciante e inspiegabile che mente umana possa concepire. Undici morti, undici corpi straziati che solo la pietà di una nevicata ne ha reso la vista meno terribile. L’autopsia rivela l’impossibile: le cause delle morti sono una diversa dall’altra e, soprattutto, alcune non sono conciliabili con il luogo del delitto e con le condizioni ambientali. Si va da ferite da arma da fuoco e da taglio al soffocamento, dalla ferita mortale per morso di squalo all’overdose da eroina, dall’uomo decapitato a quello morto di cancro. Il tutto ai piedi un albero ghiacciato, rosso come il sangue di quei poveretti. I pochissimi abitanti di Borgo San Giuda passano dalla tranquillità dei loro gesti quotidiani alla frenesia del mondo mediatico: interviste, polizia, televisioni. Il piccolo paese diventa il centro del mondo, curioso di dare una spiegazione razionale alla strage. E qui il romanzo compie la sua metamorfosi: i tratti del thriller sfumano per dare spazio alle storie degli abitanti, che da comparse diventano i veri protagonisti. Scaraventati a forza in un mondo che non conoscono, mostreranno tutte le patologie conseguenti a isolamenti prolungati. Molti presenteranno disturbi psicotici, già presenti ma latenti; la strage da questo punto di vista non fa altro che da detonatore, accelerando un processo già innescato. Don Ermete, accorgendosi che la sua piccola comunità sta precipitando in una spirale verso il basso, chiama la psicologa dell’ASL Giovanna Gassion, che accetta di aiutare il prete spinta anche da una cicatrice in un dito che si è inspiegabilmente riaperta dopo molti anni senza alcun motivo.

Chi si aspetta un’evoluzione delle indagini, una spiegazione razionale della strage e un colpevole, resterà deluso: il romanzo vira decisamente verso le storie personali degli abitanti e dei due protagonisti, il prete e la psicologa, e di come loro due, insieme, cerchino di curare, in uno strano mix di fede e scienza, il male che si è impadronito di loro. X e Y, uomo e donna, yin e yang, razionale e spirituale, scienza e fede: forse quest è la vera essenza del romanzo, che rimane godibile, una volta vinta la frustrazione del “non sapere come va a finire”, fino all’ultima riga. Un punto di domanda a proposito della bambina scomparsa: non ho capito se l’autore volesse dare un “contentino” al lettore, se volesse rivendicarne l’innocenza liberandola dal male, o insegnare che è più importante chiedersi il “perché” e non il “come” delle cose.

Lo stile è impeccabile, ma un po’ pretenzioso in alcune digressioni. Forse nella seconda parte c’è un leggero disequilibrio tra dialoghi e sequenza descrittive, ma c’è da scommettere che fosse nelle intenzioni dell’autore. I tanti puntini di sospensione nei dialoghi appesantiscono un po’ lettura, ma rendono molto bene l’idea dell’atmosfera densa e pesante che si respira tra le stradine di Borgo San Giuda.

XY non è un thriller, ma allora cos’è? XY è un progetto, come si può vedere dal sito della Casa Editrice. È un esperimento multimediale: nel sito ufficiale del libro si possono trovare informazioni, indizi, glossario dei termini, storie dei personaggi, persino una piantina di Borgo San Giuda. Il tutto per aumentare l’attesa prima della pubblicazione e, poi, per tenere accesa la fiammella del ricordo una volta chiuso il romanzo. Un’operazione di marketing che ho apprezzato. Fandango prova a dare una scossa all’editoria classica, cercando di creare un “cinema” attorno al testo.

Non è un romanzo da bianco o nero, senza sfumature. Apprezzabile soprattutto da chi riuscirà a vincere la delusione della sua non-conclusione.

 

La leggenda del vento – Stephen King

La leggenda del vento - Stephen KingVoto: 6,5

Titolo: La leggenda del vento

Autore: Stephen King

Genere: Fantasy

Editore: Sperling & Kupfer

Consigliato: A chi NON ha letto i romanzi della serie La Torre Nera

 

TRAMA ORIGINALE

Lo starkblast è una tempesta di violenza inimmaginabile, un vento gelido che trasforma in statua di ghiaccio tutto ciò che trova sulla sua strada. Quando lo starkblast infuria, solo tre cose possono salvarti: solide pareti, un focolare, una buona storia per scaldare il cuore nella notte paurosa. E se il narratore è Roland il pistolero, uno dei più grandi personaggi creati da Stephen King, il racconto è pura magia della pagina che si anima e prende vita. Sorpresi dalla tormenta durante il cammino, Roland e i suoi compagni trovano rifugio in uno spettrale villaggio abbandonato. Qui, barricati nell’unico edificio sicuro, aspettano l’alba ascoltando affascinati ben due storie, l’una racchiusa nell’altra come scatole cinesi. La prima è un drammatico episodio della giovinezza di Roland: un tempo, il padre lo mandò ai confini del territorio ad affrontare uno skin-man, un mutante capace di trasformarsi in un orribile essere animalesco che mangia carne umana e che già ha lasciato una lunga scia di sangue. La seconda è la vicenda fantastica che, in quell’occasione, in una notte altrettanto infernale, Roland – ancora un ragazzo lui stesso – raccontò al piccolo Bill, l’unico testimone di una di quelle stragi. Mentre l’assassino si aggirava nell’ombra e raffiche polverose frustavano ululando le mura di pietra, Roland, per fare coraggio al bambino, ritrovò ricordi sepolti nella memoria. Una fiaba che l’aveva cullato tanto tempo prima la sera, tratta dai Racconti magici dell’Eld, e usata da sua madre per farlo addormentare: la storia di Tim Stoutheart è un tesoro senza tempo che vive per tutti noi. Una vera leggenda. Stephen King rivisita la serie-capolavoro della Torre Nera con questa splendida digressione e fa l’en plein. I fan della saga vi riconosceranno i personaggi e le atmosfere indimenticabili, e i nuovi lettori potranno godersi un’opera avvincente e autonoma dove ritrovare tutta la magia di un grande narratore.

 

Quando, per puro caso, in libreria ho preso in mano il libro e letto “un romanzo della Torre Nera” mi era venuta l’acquolina in bocca. Ho amato Roland Deschain e il suo ka-tet, ho divorato i sette libri della serie e mi aspettavo grandi cose da questo nuovo episodio della saga. Cronologicamente collocato tra il quarto e il quinto episodio (La sfera del buio e I lupi del calla), La leggenda del vento è in realtà uno spin-off, due storie intrecciate una dentro l’altra, che Roland racconta ai suoi compagni di viaggio al riparo di una vecchia costruzione abbandonata, davanti al fuoco, mentre fuori infuria lo starkblast, una tempesta gelida che distrugge tutto ciò che incontra.

 

Nelle prime pagine si respira aria di medio-mondo, si ritrovano i tratti principali dei personaggi che hanno reso epica la serie, si ha la sensazione che durante la narrazione verremo a sapere cose nuove su Roland, Jake, Susannah, Eddie, ma non sarà così. La prima storia che Roland racconta davanti al fuoco è la storia dello Skin-man, un mutante che si nutre di carne umana, con cui Roland ha avuto a che fare durante la sua giovinezza. La seconda è una storia nella storia e dà il titolo al romanzo: La leggenda del vento. Il giovane Roland la racconta a un bambino, il piccolo Bill, l’unico superstite dell’ennesima strage compiuta dallo Skin-man. È la storia del piccolo e coraggioso Tim, che per salvare la madre dalla violenza del patrigno, abbandona la sua casetta e si inoltra nella Foresta Infinita. Tim, su consiglio di un losco figuro venuto da Gilead, che tanto ricorda l’Uomo in Nero, è alla ricerca del leggendario mago Maerlyn, per ottenere da lui una cura per sua madre, privata della vista dalla violenza del marito.

 

La capacità di King di creare ambientazioni suggestive è ben nota e certamente si apprezza anche in questo romanzo, ma l’impressione è che il “Re” stavolta non si sia impegnato più di tanto. La seconda storia è molto carina, attraverso il giovane Tim scopriamo luoghi e atmosfere fantastici; lungo il viaggio ne apprezziamo le paure, le speranze e la capacità di stupirsi tipiche di un bambino. La prima storia invece, quella dello Skin-man, non lascia il segno: si riconoscono le atmosfere del medio-mondo, ma non si fa apprezzare per originalità. In più devo dire che ho fatto fatica a riconoscervi il giovane Roland.

 

Nel complesso il romanzo è più che godibile, ma credo che gli appassionati della serie potrebbero rimanerne delusi. A livello di contenuti si aggiunge poco o nulla a quanto già si conosceva dei personaggi principali, se si esclude una rivelazione sulla madre di Roland nel finale. Paradossalmente penso che potrebbe essere apprezzato di più da chi non ha ancora letto gli altri romanzi della Torre Nera.

 

Eclissi – Francesco Mastinu

Eclissi - Francesco Mastinu

Voto: 8,5

Titolo: Eclissi

Autore: Francesco Mastinu

Genere: Drammatico / Sentimentale

Editore: Lettere Animate, 2012

Collana: Raccontando

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE

L’Eclissi è il buio, il mare silenzioso del dolore.
Riccardo sa che si tratta del suo stato di sopravvivenza, per ovviare a quei ricordi che non osa riportare alla luce, ma a cui non può sfuggire.

Italia, giorni nostri:Riccardo e Alessandro, un incontro che si trasforma in un colpo di fulmine. In un resoconto che dura dieci anni, Riccardo ripercorre la loro vita insieme, dall’innamoramento alla convivenza e ai compromessi dell’età adulta.
Fra contrasti, l’assenza e il desiderio di riscatto, la loro storia verrà messa a dura prova. Un percorso doloroso e toccante, nel quale Riccardo dovrà fare i conti con le illusioni e le scelte compiute, in un passato dove l’amore, a
volte, rimane l’unica via possibile, ma che da sola non può bastare. Un ritratto accorato, che ci insegna cosa significhi per due persone, ancora oggi, amarsi senza avere tutela del loro legame.

 

A chi ha capito che l’amore non è mai “diverso”.
Comincio la recensione citando la frase che l’autore stesso ha scelto come dedica. Quel diverso virgolettato è una delle chiavi di lettura del testo.  Eclissi è la storia d’amore tra due uomini, il giovane Riccardo e il maturo Alessandro. Come molte altre storie, è fatta di passione, complicità, incomprensioni, tradimenti e abbandoni, gioie e lacrime. È la storia d’amore tra due persone, prima che tra due persone dello stesso sesso: l’autore riesce a far dimenticare, semmai ce ne fosse stato il bisogno, il sesso dei protagonisti lungo lo scorrere delle pagine. Ci pensa la vita, purtroppo, a ricordarcelo: genitori che non sanno accettare, l’ignoranza della gente, il problema delle unioni civili e i diritti non riconosciuti.
Perché la diversità è solo negli occhi di chi guarda e giudica.

 

Per poter essere il più possibile obiettivo, devo dividere la recensione in due parti.
Nella prima voglio considerare la storia in se stessa, i contenuti, lo stile, la trama. Nella seconda invece voglio considerare il messaggio che porta con sé questo romanzo.

I miei più sinceri complimenti all’autore: è riuscito a intrecciare in maniera magistrale una trama di per sé più che inflazionata. Il lessico e la forma sono impeccabili, la lettura è sempre piacevole. Al lettore arrivano carezze dirette all’anima, veicolate dalla sensibilità di Riccardo, che trascendono l’empatia, fino ad arrivare ad una vera e propria compartecipazione emotiva, come se chi legge fosse un amico reale del protagonista.
Unico difetto è forse l’egocentricità della struttura: si può dire di conoscere tutto di Riccardo come persona, ma non il suo contesto sociale. La vita lavorativa è solo accennata, approfondita lievemente solo per finalità utili alla trama (il viaggio in Spagna). La psicologia stessa di Alessandro, coprotagonista, è poco più che accennata e sempre e solo funzionale alla trama.
Perfetto invece l’uso della prima e della terza persona, per non parlare della seconda: raramente l’ho apprezzata come in questo romanzo.
L’inganno finale è una stilettata al lettore: mi ha strappato più di una lacrima. Personalmente mi ha lasciato un nodo in gola che perdura anche dopo aver terminato la lettura. Perché inaspettata, atroce e drammatica.

Veniamo al messaggio: una pugnalata mortale al cuore della discriminazione e dell’ignoranza. Una rivendicazione urlata in maniera educata e gentile, che spero possa arrivare più lontano di tanta propaganda demagogica senza costrutto. Il dolore del protagonista per i suoi diritti non riconosciuti è una protesta gentile, ferma, forte e coraggiosa. Il romanzo ha tutte le carte in regola per diventare messaggio di utilità sociale.

Rinnovo i complimenti all’autore, per un esordio che già manifesta una matura capacità narrativa e lascerà certamente il segno.

L’esca – José Carlos Somoza

L'esca - José Carlos Somoza

Voto: 7,5

Titolo: L’esca

Autore: José Carlos Somoza

Genere: Thriller

Editore: Mondadori

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE

Lo chiamano lo “Spettatore”. È un killer spietato e semina morte fra le donne, in prevalenza prostitute e straniere, brutalmente torturate e fatte a pezzi. Diana Blanco è l’esca: addestrata dalla polizia di Madrid, a soli venticinque anni è la migliore, la più preparata, l’unica che può fermarlo. In un tempo in cui la tecnologia non basta da sola a catturare gli assassini, la polizia ha messo a punto un nuovo metodo che si basa sulla teoria dello psinoma, una sorta di codice genetico che identifica la personalità di un individuo attraverso il suo desiderio e il modo di soddisfarlo. Questa teoria risalirebbe addirittura a Shakespeare e sarebbe presente in tutte le sue opere. Le esche infatti si esercitano in veri e propri teatri, dove mettono in scena gli atteggiamenti, i gesti e i comportamenti indispensabili per agganciare gli assassini.
Ma lo Spettatore sembra sfuggire a qualsiasi profilo psicologico, manifestando addirittura personalità diverse e sfuggendo così a ogni tentativo di classificazione. Quando Diana Blanco scopre che sua sorella Vera è il prossimo obiettivo dello Spettatore, decide di giocarsi il tutto per tutto. Ha così inizio una corsa contro il tempo che la porterà fino al mostro, in un emozionante e terrificante gioco di sospetti e colpi di scena. Sarà un’esperienza sul filo della follia, oltre i confini del conoscibile, con un finale inquietante ed esplosivo. Diana dovrà anche fare i conti con il suo tragico passato senza poter contare nemmeno su chi le è più vicino, perché niente e nessuno è ciò che sembra. E l’orrore non ha mai una sola faccia. L’esca è un thriller originale che trasporta il lettore in un futuro non lontano, i cui veri protagonisti non sono solo i “buoni” e i “cattivi”, ma soprattutto le paure e le ossessioni che si nascondono dentro ognuno di noi.

Ho acquistato questo libro, lo ammetto, perché attratto dalla copertina. Non conoscevo nulla dell’opera e, tantomeno, dell’autore. È stata una piacevole sorpresa; l’autore spagnolo José Carlos Somoza non è, a torto, molto popolare in Italia e quest’opera sembra non aver spopolato. Ed è un peccato, perché è un bel libro.

 

L’autore riesce a proporsi con un thriller psicologico con alcune idee originali, fuori dagli schemi del thriller classico. La più originale risulta senz’altro essere lo psinoma, secondo cui la personalità di un individuo sarebbe guidata esclusivamente dal piacere e dalla ricerca della sua soddisfazione. La polizia di Madrid usa delle ragazze, spacciandole per prostitute, come esche per adescare un pericoloso serial killer, chiamato Lo Spettatore. Ciascuna di loro, e la protagonista Diana Blanco in particolare, è un’sperta dello psinoma. L’adescamento si baserebbe sull’influenzabilità e dipenza di ciascun individuo ad un particolare atteggiamento, fatto di espressioni, gesti e movimenti. Davanti a questa particolare sollecitazione, il soggetto risulta prima attratto e poi completamente soggiogato e privato di qualsiasi volontà.
Si tratta chiaramente di finzione, non c’è alcun fondamento scientifico, ma l’autore ha avuto la capacità di renderla reale durante la narrazione.

 

La storia è avvincente, lo stile scorrevole, semplice e la suspence quasi sempre alta, se escludiamo alcune digressioni di cui parleremo dopo. Buone le ambientazioni in una Madrid dal fascino decadente tipicamente latino.
Piacciono i continui riferimenti a Shakespeare. L’autore, con una certa maestria, non manca di citarne opere con chiari riferimenti del poeta ai vari tipi di psinoma, quasi ad identificarlo come il vero scopritore.

 

Il romanzo presenta però, anche alcuni piccoli difetti:
Il ritmo cala nei punti dove l’autore eccede, a mio parere, in spiegazioni tecniche non necessarie. Lo psinoma è finzione, va chiaramente spiegato, ma non avendo un vero fondamento scientifico, ho trovato inuitli alcuni particolari. Particolari che sarebbero risultati invece interessanti per un tema scientifico, per curiosi desiderosi di approfondire l’argomento.
 Il personaggio di Diana risulta un po’ stereotipato nel suo mix di forza (e ce ne vuole per fare l’esca per i serial killer) e debolezza (propria, nel caso psecifico, della sua  natura di donna). Risulta credibile e arriva al lettore, genera empatia, ma non risulta molto “profonda”. L’autore eredita, forse, un’atavica difficoltà: la descrizione di un carattere femminile da parte di un uomo. Raramente donne descritte da uomini hanno uno spessore riconosciuto e apprezzato dalle stesse donne.
Il finale, mirabolante, mi è sembrato eccessivo. La voglia dell’autore di disorientare e sconvolgere il lettore, se portata all’eccesso, risulta stonata. Nel caso specifico si cerca l’effetto non una ma ben tre volte. Nel mio caso, c’è riuscito solo al terzo tentativo, ma avrei apprezzato un finale più lineare.

 

Nel complesso è un buon libro, di un autore che sa scrivere e che ha guadagnato la mia fiducia per altre letture in futuro.

 

Sia fatta la tua volontà – Stefano Baldi

Sia fatta la tua volontà - Stefano Baldi

Voto: 8,0

Titolo: Sia fatta la tua volontà

Autore: Stefano Baldi

Genere: Narrativa contemporanea

Editore: Newton Compton

Consigliato: SI

 

 

 

TRAMA ORIGINALE

Vive in un paesino nella nebbiosa pianura bolognese, è ancora vergine, non proprio bello e di una timidezza patologica. Vivacchia Luca, lavora a testa bassa per dimenticare i suoi insuccessi, le sue serate sono fatte di pochi amici fidati e qualche partitella a carte con i vecchietti del circolo Arci. Un fratello ritardato di cui vergognarsi e una madre che ancora non gli ha perdonato di essersene andato di casa completano il quadro. Una vita senza colore, la sua, nell’attesa del grande amore. Ma di tempo Luca non ne ha più. Una brutta tosse trascurata, lunghe analisi mediche e una diagnosi che non lascia scampo. Insieme all’angoscia e alla paura arriva, però, anche la fede e ha la voce di Don Edoardo, il sacerdote degli anni del catechismo, perso di vista da anni. Ed è questo incontro a far nascere in Lazzaro il desiderio di voler dare un senso al tempo che gli rimane. E così, anche l’incontro con Anna, prostituta dal viso bellissimo e dall’atroce passato, riesce a fargli superare definitivamente la paura di vivere e di morire. Ricca di elementi autobiografici e scritta con un’ironia pungente e spietata, questa è l’intima testimonianza che Stefano Baldi ci ha lasciato prima di andarsene.

Sia fatta la tua volontà è la storia di Luca Lazzarini, un ragazzo di ventisei anni come tanti. Abita a Maddalena, un piccolo paese della periferia di Bologna, passa le giornate a lavorare sodo, un po’ perché ci tiene al lavoro, un po’ perchè subisce le angherie del suo capo. Ha pochi amici, un po’ perché gli rimane poco tempo libero, e un po’ perché tutto sommato ha poco da spartire con quei ragazi che corrono dietro solo a calcio, donne e alcool. Non è mai stato con una donna, un po’ perché non è certo un adone, un po’ perché è timido, di quella timidezza che un attimo prima di proporti sussurra subdola “no, non andare, tanto ti dirà di no!”.
Luca è in attesa perenne di un’occasione, ma non la sta in realtà cercando. Semplicemente, aspetta, chiuso in una solitudine tangibile in ogni pagina. Ma è un’attesa breve, perché la sorte ha stabilito che lui, di tempo, non ne ha più. Il suo destino è segnato, i suoi giorni sono a scadenza. E proprio quando si rende conto di non aver più tempo, capisce che dovrà valorizzare tutti i pochi giorni che gli rimangono.
Scopre la fede, grazie ad un sacerdote straordinario dei tempi del liceo, scopre l’amore nel senso più ampio del termine: il gusto delle piccole cose, i gesti semplici, l’anima di sua madre, un fratello ritardato che finalmente diventa un vero fratello, di cui non vergognarsi più. Si toglie di dosso tutte le maschere che quotidianamente era costretto a portare per sentirsi adeguato alla massa. Abbandona l’apparire per l’essere. Incontra una prostituta in difficoltà e trova il coraggio per aiutarla.
L’autore, Stefano Baldi, muore di tumore poco dopo la stesura del romanzo, che è e resterà quindi la sua opera prima e unica. Si percepiscono molti spunti autobiografici, lo stile è scorrevole, delicato. In alcuni passi l’autore sembra porsi in punta dei piedi nei confronti del lettore, quasi a chiedere il permesso, per la paura di disturbare con i propri pensieri. In altri passi il testo è denso di un’ironia pungente, scanzonata, leggera nonostante si percepisca la sofferenza provata, credo di non sbagliare, dall’autore nella vita reale.
L’unica nota negativa è il modo in cui Luca e Don Edoardo salvano Anna, la prostituta, descritto in maniera troppo semplicistica e, purtroppo, lontano dalla triste realtà dello sfruttamento della prostituzione. Ma è un dettaglio.
A prescindere dal percorso di fede di Luca, il protagonista, che si può condividere o no, non si può non apprezzare il modo in cui l’autore ne descrive il disagio, il senso di inadeguatezza. Ho provato tenerezza per Luca, dalla prima pagina, trasformatasi poi in speranza durante le analisi, in pena e rassegnazione quando il responso non lasciava scampo, e infine in stima per una persona che, in un modo o nell’altro, aveva trovato il suo percorso.

 

Se ti abbraccio non aver paura – Fulvio Ervas

Se ti abbraccio non avere paura - Fulvio ErvasVoto: 7,5

Titolo: Se ti abbraccio non aver paura

Autore: Fulvio Ervas

Genere: Narrativa contemporanea

Editore: Marcos Y Marcos

Consigliato: SI

TRAMA ORIGINALE

Il verdetto di un medico ha ribaltato il mondo. La malattia di Andrea è un uragano, sette tifoni. L’autismo l’ha fatto prigioniero e Franco è diventato un cavaliere che combatte per suo figlio. Un cavaliere che non si arrende e continua a sognare. Per anni hanno viaggiato inseguendo terapie: tradizionali, sperimentali, spirituali. Adesso partono per un viaggio diverso, senza bussola e senza meta. Insieme, padre e figlio, uniti nel tempo sospeso della strada. Tagliano l’America in moto, si perdono nelle foreste del Guatemala. Per tre mesi la normalità è abolita, e non si sa più chi è diverso. Per tre mesi è Andrea a insegnare a suo padre ad abbandonarsi alla vita. Andrea che accarezza coccodrilli, abbraccia cameriere e sciamani. E semina pezzetti di carta lungo il tragitto, tenero Pollicino che prepara il ritorno mentre suo padre vorrebbe rimanere in viaggio per sempre. Se ti abbraccio non aver paura è un’avventura grandiosa, difficile, imprevedibile. Come Andrea. Una storia vera.

Se ti abbraccio non aver paura è la storia di un padre e un figlio. È la storia di Franco e Andrea. È la storia di un viaggio alla ricerca di una speranza.
Andrea è un adolescente autistico, stretto nella sicurezza del suo mondo, lontano dalle luci e dalle miserie del nostro. Ma per questo anche relegato in una dimensione diversa, di una diversità che il mondo non fatica a rimarcare in ogni gesto, in ogni sguardo. Andrea lo capisce, perché e sì autistico ma anche sensibile, oltre che forte e bello. Franco, suo padre, convinto che il figlio non abbia bisogno solo di regole e routine, come gli dicono i medici, prende una decisione tanto pazzesca quanto grandiosa: lui e Andrea in giro per le Americhe.
Franco, per mano dell’autore Fulvio Ervas, racconta la storia di questo viaggio meraviglioso, alla ricerca di un rapporto tra padre e figlio, perché anche Andrea merita di vivere esperienze ai limiti, vere e vibranti.
L’idea stessa del viaggio, di quel tipo di viaggio, è di per sé qualcosa di straordinario: girare il mondo come persone “normali”. Ma Franco e Andrea normali certo non sono, e non per la diversità di Andrea, che nell’evoluzione del racconto diventa solo una particolarità, ma per la gioia e l’allegria che danno e ricevono dalle persone che incontrano, in un dare e avere che diventa normale come respirare.
Un coast-to-coast in moto negli Stati Uniti, poi Messico, America Centrale, Brasile, un viaggio fatto di incontri, di tante parole e molti silenzi. Silenzi in cui Andrea spesso cade quando si isola nel suo mondo, mondo in cui Franco vorrebbe entrare ma dove, quasi sempre, trova la scritta “accesso vietato”, perché il mondo di Andrea è fatto di presenze/assenze senza soluzione di continuità.
Non ho potuto non voler bene ad Andrea, al modo tutto suo di toccare la pancia delle persone per stabilire un contatto, eppure il racconto mi ha lasciato un senso di incompiuto. È come se mi aspettassi che, prima o poi, Andrea dovesse fare o dire qualcosa di straordinario, che uscisse dalla sua routine di pezzetti di carta e bottiglie d’acqua bevute a canna, per entrare un po’ di più nel nostro mondo. Ma dall’autismo non si guarisce. Avevo delle aspettative, forse perché accettare le diversità è veramente difficile.
Alcune ambientazioni in America Centrale non mi hanno convinto, le ho trovate un po’ approssimative, in alcuni passaggi facevo fatica a “essere lì”, forse anche perché nella “trascrizione” tra Franco e autore, qualche particolare si è perso.
Lo stile con cui Ervas narra le vicende è gradevole, fatto di frasi brevi dove spesso si vuole raggiungere, con successo, l’effetto. Sicuramente funzionale alla trama e ai contenuti.
È un romanzo che vi farà riflettere e che sta suscitando un sacco di polemiche, ora che i due protagonisti sono diventati famosi.
Realmente autistico o Sindrome di Asperger? Andrea può veramente essere in grado di scrivere da solo messaggi al computer? Quanti genitori si possono permettere di abbandonare tutto come ha fatto Franco?
Non so rispondere, ma posso consigliarvi di leggere questo libro, a prescindere dalle polemiche.

 

 

Il libro delle anime – Glenn Cooper

Il libro delle animeVoto: 5,5

Titolo: La biblioteca dei morti

Autore: Glenn Cooper

Genere: Thriller

Editore: Nord, 2010

Consigliato: NO

 

TRAMA ORIGINALE

È un libro, un semplice libro antico. Ma custodisce un segreto.
Un segreto che è stato scritto col sangue nel 1297, da innumerevoli scrivani coi capelli rossi e con gli occhi verdi, forse toccati dalla grazia divina, forse messaggeri del diavolo. Che è riapparso nel 1334, in una lettera vergata da un abate ormai troppo anziano per sopportare il peso di quel mistero. Che, nel corso del XVI secolo, ha illuminato la strada di un teologo, i sogni di un visionario e le parole di un genio.

È un libro, un semplice libro antico. Ma sta per scatenare l’inferno.
Perché quel libro dovrebbe trovarsi nella Biblioteca dei Morti, la sconfinata raccolta di volumi in cui è riportata la data di nascita e di morte di tutti gli uomini vissuti dall’VIII secolo in poi. E, dopo essere rimasto sepolto sotto la polvere della Storia per oltre settecento anni, adesso è riemerso ed è diventato un’ossessione per Will Piper, deciso a cancellare il dolore che la Biblioteca ha portato nella sua vita; per Henry Spence, che ha dedicato la sua esistenza alla soluzione dell’enigma e che ormai ha i giorni contati; per Malcolm Frazier, il capo della sicurezza della Biblioteca, determinato a uccidere pur d’impedire al mondo di conoscere la verità. Un’ossessione che inevitabilmente porta altro dolore, altri enigmi, altro sangue.

È un libro, un semplice libro antico.
Ma è il Libro delle Anime.
E il suo segreto è il nostro destino.

Dopo il grande successo de La biblioteca dei morti, Glenn Cooper decide di cavalcare l’onda proponendo il sequel, Il libro delle anime.
Devo dire che tanto mi era piaciuto il primo episodio, tanto mi ha deluso il secondo. Si conferma purtroppo la mia idea che, spesso, storie che nascono come autoconclusive dovrebbero rimanere tali. Si creano aspettative che, almeno personalmente, restano puntualmente disattese.
Il pretesto del sequel è un libro “scappato” dalla biblioteca in tempi lontani insieme ad alcuni fogli di pergamena scritti da uno degli abati dell’abbazia di Vectis, luogo in cui i libri erano anticamente custoditi.
Il libro cade nelle mani di Henry Spence, ex impiegato dell’Area 51, desideroso di scoprire cosa succederà dopo la fatidica data del 9 Febbraio 2027, la fine dei giorni.
Will Piper, l’intrepido ex agente dell’FBI ormai in pensione, ingaggiato da Spence, abbandona moglie e figlio appena nato alla ricerca del segreto celato nel libro, in Inghilterra, nel maniero di una nobile famiglia inglese, cui era anticamente appartenuto il prezioso tomo.
Alla trama si prestano personaggi del calibro di Giovanni Calvino, Nostradamus e Shakespeare, il cui percorso culturale e spirituale sarebbe stato irrimediabilmente influenzato dal contatto con il suddetto libro.
Ma i Sorveglianti dell’Area 51 non staranno di cero a guardare: saranno disposti a tutto pur di non far trapelare il terribile segreto celato nella biblioteca.
Ne Il libro delle anime la trama si trascina stancamente per una buona metà, tra un’improbile caccia al tesoro nel maniero inglese e una ricostruzione storica piuttosto approssimativa, attraverso il quale l’autore cerca di legare la storia del libro a quella dei personaggi famosi sopra citati.
Nel finale il livello si alza leggermente, grazie a situazioni piene d’azione dove Cooper dimostra di sapersi destreggiare abilmente. Devo dire che comunque nemmeno questa parte mi ha risvegliato dal torpore che mi aveva inizialmente accompagnato.
Come nel primo episodio, personaggi piuttosto piatti, che fanno fatica a trasmettere passione e sentimenti; difetto stavolta ingigantito da una storia che non decolla.
Non lo consiglio e dico con certezza che non leggerò l’episodio conclusivo della saga, I custodi della biblioteca.
Rimango curioso, invece, per altri lavori dell’autore, dove partendo da zero avrà potuto sfruttare la fantasia che l’aveva ispirato per il primo libro della trilogia, a mio parere veramente meritevole.

 

 

La biblioteca dei morti – Glenn Cooper

La biblioteca dei morti - Glenn Cooper

Voto: 8,5

Titolo: La biblioteca dei morti

Autore: Glenn Cooper

Genere: Thriller

Editore: Nord, 2009

Consigliato: SI

 

TRAMA ORIGINALE
Questo romanzo comincia nel dicembre 782 in un’abbazia sull’isola di Vectis (Inghilterra), quando il piccolo Octavus, accolto dai monaci per pietà, prende una pergamena e inizia a scrivere un’interminabile serie di nomi affiancati da numeri. Un elenco enigmatico e inquietante. Questo romanzo comincia il 12 febbraio 1947, a Londra, quando Winston Churchill prende una decisione che peserà sulla sua coscienza sino alla fine dei suoi giorni. Una decisione atroce ma necessaria. Questo romanzo comincia il 10 luglio 1947, a Washington, quando Harry Truman, il presidente della prima bomba atomica, scopre un segreto che, se divulgato, scatenerebbe il panico nel mondo intero. Un segreto lontano e vicinissimo. Questo romanzo comincia il 21 maggio 2009, a New York, quando il giovane banchiere David Swisher riceve una cartolina su cui ci sono una bara e la data di quel giorno. Poco dopo, muore. E la stessa cosa succede ad altre cinque persone. Un destino crudele e imprevedibile. Questo romanzo è cominciato e forse tutti noi ci siamo dentro, anche se non lo sappiamo. Perché non esiste nulla di casuale. Perché la nostra strada è segnata. Perché il destino è scritto. Nella Biblioteca dei Morti.

 

La biblioteca dei morti è il romanzo d’esordio dell’americano Glenn Cooper. Un esordio col botto, non c’è che dire.
Nonostante l’idea di base del romanzo sappia di già sentito – libri che affiorano dal passato rivelando il mistero della vita e dell’umanità – Cooper è riuscito a tessere una trama decisamente originale.
Un’abbazia del passato dove monaci di una setta misteriosa, l’ordine dei nomi, custodiscono in segreto libri dai contenuti troppo spaventosi per essere condivisi con il resto del mondo.
Un serial killer dei giorni nostri che si fa chiamare Doomsday, l’assassino del giorno del giudizio, che manda cartoline alle sue vittime indicando la data della loro morte.
Un agente dell’FBI e la sua assistente, Will Piper e Nancy Lipinsky, sulle tracce del serial killer.
Le indagini portano i due protagonisti a incrociare il loro destino con quello di Mark Shackleton, ex compagno di Will ai tempi del college, ora impiegato come tecnico informatico presso la segretissima base militare nota come Area 51. Da sempre legata nell’immaginario collettivo agli UFO, la base si rivelerà in realtà il luogo dove sono custoditi i misteriosi libri che i monaci avevano cercato per secoli di tenere lontano dalla conoscenza degli uomini. Libri dove sono scritte le date di nascita e di morte di tutti gli esseri umani, dal 700 al 9 Febbraio 2027, data indicata come Finis dierum, la fine dei giorni.
Passato e presente, suspence e azione, Il tutto mescolato in un cocktail di successo, in cui la tensione è sempre alta durante la narrazione. Salti temporali gestiti in maniera magistrale.
Lo stile è quello del tipico thriller americano: asciutto, quasi privo di approfondimenti psicologici dei personaggi, scorrevole, molto descrittivo. L’autore presenta a mio parere una grande abilità nel descrivere le scene.
Il finale è aperto, lascia intendere al lettore che ci sarà un seguito (cosa che è puntualmente avvenuta).
Unica nota negativa: i due personaggi principali, stereotipati e bidimensionali. Will Piper è il classico bello e impossibile, con matrimoni falliti alle spalle, semi alcolizzato, disilluso e ormai prossimo alla pensione. Nancy Lipinsky è la sua assistente, bella e ligia al dovere, che non gradisce lo stile di vita del suo superiore ma che finirà irrimediabilmente per innamorarsene.
E’ un romanzo che fa riflettere. Durante la lettura più volte mi sono posto la domanda:
Come vivresti il resto della tua vita se sapessi già la tua data di morte?
Domanda che ne genera subito un’altra:
La stai veramente vivendo, la tua vita?
Domande che molto spesso non ci poniamo, perché resteremmo stupiti dalle nostre stesse risposte.