Voto: 7,5
Titolo: Inferno
Autore: Dan Brown
Genere: Thriller
Editore: Mondadori, 2013
Consigliato: SI
TRAMA ORIGINALE
Il profilo inconfondibile di Dante che ci guarda dalla copertina è il motore mobile di un thriller che di “infernale” ha molto. Il ritmo, prima di tutto, e poi il simbolismo acceso, e infine la complessità dei personaggi che conducono a un esito raro per i romanzi d’azione: instillare nel lettore il fascino del male, addirittura la sua salvifica necessità.
Non è affatto sorprendente che lo studioso di simbologia Robert Langdon sia un esperto di Dante, anzi. È naturale che al poeta fiorentino e alla visionarietà con cui tradusse in forme solenni e oscure la temperie della sua epoca tormentata il professore americano abbia dedicato studi e corsi universitari ad Harvard. È quindi normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori.
Ma ora è tutto diverso, non c’è niente di normale, nulla che possa rievocare una dolce abitudine. Questa volta è un incubo e la sua conoscenza della città fin nei labirinti delle stradine, dei corridoi dei palazzi, dei passaggi segreti può aiutarlo a salvarsi la vita.
Il Robert Langdon che si sveglia in una stanza d’ospedale, stordito, sedato, ferito alla testa, gli abiti insanguinati su una sedia, ricorda infatti a stento il proprio nome, non capisce come sia arrivato a Firenze, chi abbia tentato di
ucciderlo e perché i suoi inseguitori non sembrino affatto intenzionati a mollare il colpo. Barcollante, la mente invasa da apparizioni mostruose che ricordano la Morte Nera che flagellò l’Europa medievale e simboli criptici connessi alla prima cantica del Divino poema, le labbra capaci di articolare, nel delirio dell’anestetico, soltanto un incongruo “very sorry”, il professore deve scappare. E, aiutato solo dalla giovane dottoressa Sienna Brooks, soccorrevole, ma misteriosa come troppe persone e cose intorno a lui, deve scappare da tutti.Comincia una caccia all’uomo in cui schieramenti avversi si potrebbero ritrovare dalla stessa parte, in cui niente è quel che sembra: un’organizzazione chiamata Consortium è ambigua tanto quanto un movimento detto Transumanesimo e uno scienziato come Bertrand Zobrist può elaborare teorie che oscillano tra utopia e aberrazione.
Alla fine di un’avventura che raggiunge momenti di insostenibile tensione, Dan Brown ci rivela come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possono essere questione di punti di vista e anche da una laguna a cielo coperto si possa uscire a riveder le stelle.
Ecco il nuovo thriller di Dan Brown, pronto per il grande schermo. Cominciamo con il dire che l’autore del Codice da Vinci colleziona un successo dietro l’altro, e Inferno non farà eccezione. C’è da scommettere sulla trasposizione cinematografica del romanzo e sui sicuri incassi al botteghino. Dopo Leonardo da Vinci, Dante Alighieri: l’autore sembra aver capito che per attirare i lettori con romanzi a sfondo storico-culturale, non c’è niente di meglio che attingere a piene mani dal pur tanto vituperato Bel Paese. Di questo, senza alcuna speculazione e polemica, dobbiamo essere grati a Dan Brown: aver reso ancora più popolari, grazie alla diffusione capillare dei suoi libri, le nostre città d’arte e le opere dei nostri immortali artisti.
Essendo ambientato principalmente a Firenze e a Venezia, è normale che il lettore italico medio lo abbia passato al setaccio con occhio critico e severo, com’è giusto che sia, in cerca di errori e strafalcioni. Da questo punto di vista, a torto o a ragione, il romanzo è stato più volte stroncato: descrizioni da guida turistica, conoscenze eno-gastronomiche approssimative, ricostruzioni storiche inesatte e/o incomplete. Da veneziano, posso dire che è molto difficile che l’odore delle “seppie al nero”, citando testualmente, camminando per calli e campielli possa sovrastare l’odore di salmastro, a meno di non stazionare davanti a un ristorante che le abbia nel menu. Ma è un dettaglio insignificante. Verrebbe da chiedersi poi, a parziale discolpa dell’autore, cosa potrebbe pensare un Newyorkese della descrizione della sua città, da parte di un autore straniero che ne tratteggia tratti, luoghi, usi e costumi avendola magari visitata solo un paio di volte.
A mio modo di vedere, non sono però questi i territori su cui si deve giudicare il romanzo di Dan Brown. E l’autore non può nemmeno essere messo in croce per gli ammiccamenti alla teorie Malthusiane sulla sovrappopolazione, anche se, sembra, siano già state ampiamente confutate. Sulle suddette teorie, e sul transumanesimo, si fonda il messaggio finale del romanzo, e il finale aperto vorrebbe invitare il lettore a interrogarsi sul futuro dell’umanità, il cui sviluppo (sembra) essere limitato dalla nostra stessa prolificità. Che si sia d’accordo oppure no, sta di fatto che l’argomento ha un certo fascino. Fascino che, c’è da riconoscere, permea tutta la trama.
Il protagonista è nuovamente Robert Langdon, il professore si simbologia di Harvard, già protagonista de Il codice da Vinci. Inferno ruota intorno alla Divina Commedia di Dante Alighieri e la peste nera, che ha flagellato l’Europa nel Medioevo. Un uomo si suicida gettandosi dal campanile della Badia, a Firenze, lanciando un sinistro ultimo messaggio in cui chiede al mondo di ricordarlo come un salvatore e non come un mostro. Pochi giorni dopo, Robert Langdon si sveglia in un ospedale di Firenze, con una ferita da arma da fuoco alla testa e un’amnesia che ha cancellato i ricordi degli ultimi due giorni. Ha delle strane e ricorrenti visioni, non sa perché si trova lì e qualcuno lo vuole morto. Riesce a fuggire grazie alla dottoressa Sienna Brooks, donna affascinante e misteriosa che sembra nascondere qualcosa. Langdon scopre di avere, nel risvolto della fodera della giacca, una strana capsula con il simbolo di rischio biologico stampato sopra. Al suo interno, un futuristico proiettore con un’immagine modificata de La mappa dell’inferno di Botticelli. Langdon e Sienna devono scappare, perché braccati dal governo USA, dalla polizia italiana e da una misteriosa setta, il Consortium. Tutto sembra far pensare che il mondo sia minacciato da una nuova pandemia, un virus sviluppato da uno scienziato, Bertrand Zobrist, che ha perso la ragione, che vuole emulare Dante, disseminando qua e là indizi che portano sempre a qualcosa che ha a che fare con la Divina Commedia. I due protagonisti passano attraverso le meraviglie di Firenze alla ricerca di indizi, guidata dallo strano messagio “CERCATROVA”, ricorrente anche nelle visioni di Langdon. Da Firenze, gli indizi portano poi a Venezia e al doge Enrico Dandolo, e infine a Istanbul, dove ci sarà il (triste?) epilogo della vicenda. Sullo sfondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che sembra seguire da vicino i protagonisti, chiaramente preoccupata per le sorti dell’umanità.
Inferno è un romanzo avvincente, che tiene il lettore incollato alle pagine, ma siamo lontani dalla tensione narrativa de Il Codice da Vinci. E per più di un motivo. Prima di tutto, le digressioni storico-artistiche: non entro nel merito della loro veridicità, ma è innegabile che rompano il ritmo della narrazione. In alcuni punti poi sono più che improbabili: come può un fuggiasco fermarsi a pensare alla storia di un quadro o di un ponte nel bel mezzo di un inseguimento? E poi l’espediente narrativo: la Divina Commedia. Diversamente dal Codice da Vinci, dove la Storia è parte integrante dell’intreccio, in Inferno è un puro espediente al servizio della trama. Di per sè non sarebbe un male, ma il continuo riferimento è, nello scorrere della vicenda, sempre più slegato dall’intreccio degli eventi e alla lunga stanca. La trama è avvincente e l’argomento, il rischio di una pandemia a livello mondiale e la consueta lotta contro il tempo, tengono alto il livello della tensione, ma alcuni enigmi sembrano molto semplici e si protraggono per troppe pagine. “CERCATROVA” come anagramma di “CATROVACER”, ad esempio, non meritava certo tutta quella spremitura di meningi (a meno che la parola non comparisse in italiano anche nella versione inglese…) da parte dei protagonisti.
La struttura è quella consolidata dell’autore: risolvere gli enigmi spetta sempre all’uomo, Robert Langdon, mentre la donna, Sienna Brooks è sempre subordinata. Nonostante in questo caso la coprotagonista possa vantare un QI ben superiore alla media, non riesce a incidere nelle decisioni importanti, cadendo in tutti i tranelli che i cattivi preparano per loro. Devo dire che questo maschilismo strutturale mi ha un po’ irritato, anche se nemmeno Langdon ne esce poi benissimo, dimostrando poca furbizia in più di un’occasione. Ma almeno aveva la scusante della perdita di memoria che, si scoprirà poi, ha influito anche nelle sue capacità intellettive.
Lo stile è quello consolidato di molti thriller made in USA: taglio cinematografico, azione e suspence, dialoghi alla continua ricerca della battuta a effetto, stile piuttosto lineare e privo di “picchi” e, soprattutto, scarsa caratterizzazione dei personaggi. È il terzo libro che leggo con protagonista Robert Langdon, e ancora non so quasi niente di lui, della sua vita e dei suoi gusti. I personaggi sono poco più che burattini al servizio della trama.
In sintesi, Inferno è un bel thriller. L’argomento è accattivante e ben sviluppato nell’intreccio narrativo, gli indizi vengono dosati con maestria e il livello di tensione raggiunge l’apice in più punti. Dan Brown fa ancora centro e le continue critiche non fanno altro che confermare che le sue storie, volenti o nolenti, sono sulla bocca di tutti.